Gesù è disposto ad amare fino a morire e chiede ai suoi discepoli, a noi, di fare altrettanto. L’amore diventa espressione concreta, occuparsi dell’altro, all’interno della comunità la norma, la regola, sono il modo concreto (e trasparente) di manifestare affetto, interessamento.
I discepoli non ascoltano i falsi profeti contemporanei che invitano ad una libertà che è anarchia assoluta, né vivono una sterile osservanza di precetti imposti da altri, ma cercano la difficile conciliazione tra amore e norma, fra creatività a concretezza. E il modo migliore di esprimere l’amore, ci dice la Parola di oggi, è il perdono.

Il grande Pietro
Pietro fa un gesto straordinario, dimostra di avere capito l’invito di Gesù ad amare, è disposto a perdonare fino a sette volte. Cavolo, perdonare sette volte è già un’impresa! Immaginate: un amico si viene a scusare perché vi ha sparlato alle spalle. No problem: una pacca sulle spalle, una stretta di mano, pazienza. Sono un cristiano, no?
Torna dopo mezz’ora: ha risparlato male di voi: che fate, lo perdonate di nuovo o vi sentite presi in giro?
Gesù rilancia il gioco: occorre perdonare sempre. Come `sempre`? Come è possibile?
Gesù, nella parabola che segue, spiega il suo punto di vista: il perdono non è l’eroico e improbabile sforzo del discepolo, ma la logica conseguenza di chi prende coscienza di quanto perdono, lui per primo, ha ricevuto dal Signore…

La ragione del perdono
Il cristiano è chiamato a perdonare quando si rende conto di quanto a lui è stato perdonato.
L’accentuata sproporzione del debito nella parabola (centinaia di migliaia contro pochi centesimi di Euro) rivela il divario fra il gesto di Dio e il nostro.
Siamo chiamati a perdonare perché perdonati, perché noi per primi facciamo l’esperienza del perdono gratuitamente. Nella parabola, però, il perdono non cambia il cuore del servo: l’ha fatta franca, è incredulo, euforico, non stupito della misericordia del padrone. Il perdono non l’ha cambiato, non lo ha fatto riflettere, non lo ha convertito alla misura del cuore di Dio: nel suo cuore indurito non ha pietà per l’altro servo.

Il perdono cristiano
Siamo chiamati a perdonare perché perdonati, non perché più buoni. Troppe volte dimentichiamo un’offesa subita perché, tutto sommato, ci sentiamo migliori.
Non ti perdono per dimostrare qualcosa, ma perché ne ho un bisogno assoluto, perché il rancore fa male a me prima che a te, perché ho bisogno di abbandonare la rabbia che avvelena la mia vita… Siamo chiamati a perdonare gratis, non sperando che il nostro perdono cambi l’atteggiamento di chi ci ha offeso: come Gesù, rischiamo di essere ridicolizzati per il nostro gesto, di vedercelo rinfacciare come debolezza. Poco importa: chi ha incontrato il grande perdono non può fare a meno di guardare all’altro con uno sguardo di comprensione e verità. E concretezza.
Riuscire a perdonare persone che mi hanno profondamente ferito non è cosa semplice.
A volte giocano un grosso ruolo fatiche di tipo psicologico. Nella concretezza di ciò che sono devo dare il massimo, non pretendere da me il perdono perfetto, che non vivrò mai, ma esercitare il perdono possibile. Perdonare non è un’amnesia: ti perdono ma non riesco a dimenticare, non ci penso, prevale la volontà all’emozione. Se anche ti incontro, tu che mi hai ferito, continuo ad essere turbato ma voglio augurarti la conversione, voglio che il dolore che mi hai fatto finisca di infettare la mia fragile vita. Ti perdono perché il perdono guarisce chi lo esercita, non colui a cui viene destinato.
Sono rimasto colpito da una preghiera fatta da una vecchia mamma brasiliana, analfabeta, durante una preghiera comunitaria cui partecipai, parecchi anni fa. Gli squadroni della morte gli avevano torturato e ucciso due figli sindacalisti, negli anni della dittatura; disse: `Signore che ascolti e proteggi le vedove, fammi vendetta, converti il cuore di chi ha ucciso i miei figli!`. Per me fu meglio di mille prediche sul perdono.

Un sacramento
L’atteggiamento del perdono lo maturiamo nella consapevolezza del nostro limite. Il Signore desidera talmente superare il nostro limite che ha istituito il Sacramento della Riconciliazione, che è un momento straordinario, poco valorizzato da noi cristiani.
Ci presentiamo alla Confessione come quando compiliamo il modello Unico: meno dichiariamo, meno paghiamo!
Se sapessimo, se capissimo di quanto amore il Signore è capace di colmarci! Se prendessimo più sul serio questa pagina del Vangelo! Se riuscissimo a costruire delle comunità di perdonati! Il nostro mondo ha smarrito la dimensione del proprio limite e fatica a trovare il perdono profondo che solo l’amore di Dio può dare.
Che le nostre comunità, continuando il cammino suggeritoci dal Vangelo domenica scorsa, diventino luogo di comunione, di accoglienza di perdono dato e ricevuto, per diventare testimoni credibili dell’amore di Dio.

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