Il primo miracolo nel vangelo di Marco è la guarigione di un indemoniato che siede tra le fila dei credenti della sinagoga di Cafarnao. Il forte, destabilizzante messaggio che Marco/Pietro vogliono lanciare all’inizio del loro Vangelo è l’invito a guardare all’interno della comunità dei credenti, per vedere se vi siano degli atteggiamenti di fede `demoniaci`. Demoniaca è una fede che non vuole che il Vangelo esca dalle chiese per entrare nella vita (`Che c’entri con noi, Nazareno?`), demoniaca una fede che resta solo teorica (`So chi sei`) senza diventare impulso d’amore, demoniaca una fede che vede in Dio un concorrente (`Sei venuto per rovinarci!`). Gesù, con la sua parola autorevole, è venuto per guarire nel profondo ciascuno di noi.
Subito dopo la guarigione dell’indemoniato, Marco sintetizza la giornata di Gesù: è un susseguirsi di impegni, di predicazione, di guarigione, una giornata frenetica dedicata all’annuncio del Regno e all’amore verso i fratelli, che però si tiene insieme grazie alla preghiera notturna di Gesù.

Guarigione
La prima guarigione nel Vangelo di Marco è quella della suocera di Pietro, colpita dalla febbre. Una volta guarita, si mette a servire Gesù e gli apostoli, preparando loro il pranzo. Gesù si presenta subito come colui che libera dal dolore, dando risposta alla caustica invocazione di Giobbe che vede la vita come un inutile sovrapporsi di sofferenze. Molte persone, purtroppo, fanno esperienza del dolore come elemento determinante della propria vita, arrivando alla conclusione di Giobbe e di molti altri grandi del passato (Buddha, ad esempio): la vita è un susseguirsi di eventi dolorosi.
Come uscirne? Come credere nella bontà di Dio in un contesto di continua sofferenza? Qual è il senso della vita se il dolore e la sofferenza negano questo senso?
La Parola non dona risposte semplici e i tentativi di `capire` il dolore si rivelano sempre fallimentari, anche per i credenti. Come Giobbe siamo chiamati a tacere di fronte all’immenso mistero del male, sapendo che Dio condivide questo male e lo salva. Non abbiamo bisogno di sapere le ragioni della sofferenza, abbiamo bisogno di non soffrire.
Marco dona del dolore una lettura nuova, profetica, sconcertante: il Signore Gesù ci salva dal dolore perché possiamo metterci gli uni al servizio degli altri. In un contesto di dolore e di fatica, spesso l’amicizia e l’affetto dei vicini diventano sorgente di speranza.
Il senso della nostra vita, come dicevo altrove, è quello di imparare ad amare: in questo neppure il dolore può annientarci. Gesù porta su di sé il dolore del mondo, lo salva, lo redime, senza cancellarlo, anche Dio fa l’esperienza del dolore.

Donarsi
La gente è stupita della predicazione di Gesù, ma anche della sua attività: egli consacra la sua vita all’amore, al dono di sé. In tempi come i nostri, avari di gratuità, monetizzati e frenetici, ancora stupisce l’attivismo del Nazareno che passa il suo tempo a predicare la Parola e a porre gesti di salvezza.
Attenti, però: i miracoli di Gesù sono pochi e limitati, Gesù (!) chiede ai guariti di tacere.
E’ il cosiddetto `segreto messianico` in Marco, il fatto, cioè, che Gesù non vuole troppa pubblicità intorno ai suoi miracoli. Si sente, in filigrana, la cocente delusione di Pietro che dopo avere professato la messianicità di Cristo, si è trovato a rimangiarsi tutto di fronte alla Passione. Gesù non ama l’eccessiva popolarità perché sa che nasconde un’euforia ingannevole, Gesù preferisce il rapporto diretto, personale, schietto, che mette a nudo fatica e autenticità.
Come riesce Gesù a vivere sereno in questo delirio?

Il segreto di Gesù
La preghiera è il segreto di Gesù; è il prolungato e notturno colloquio col Padre che gli dona la forza di farsi carico di tutta la sofferenza che lo circonda, di affrontare le incomprensioni e le fatiche della sua vita apostolica. Anzi, più la situazione si ingarbuglia, più la sua fama cresce, più gli impegni si moltiplicano e più tempo Gesù dedica a questa preziosa attività.
Purtroppo, però (o per fortuna?) nulla sappiamo della sua segreta preghiera notturna, non un manuale, non un libretto di istruzioni. E allora naufraghiamo, un po’ smarriti, un po’ amareggiati. Intendiamoci, amici: chi ha una bella vita di preghiera smetta li leggere, non si turbi.
Ma chi, come me, fatica a pregare, si perde appena inizia a recitare una formula, abbia la pazienza di leggere. La preghiera non è una lista di richieste a Dio, la preghiera non è uno sforzo che ci imponiamo al fine di dirci ancora discepoli, la preghiera non è necessariamente legata la desiderio e alle voglie… La preghiera, ci suggerisce Gesù, è un misterioso e intimo incontro con l’assoluto di Dio, è il silenzio che invade il cuore e ci dona la capacità di leggere la nostra vita e la storia. All’inizio è difficile, certo: si ha l’impressione di parlare con un muro, ci si sente ridicoli. Bisogna insistere, con umiltà, lasciare che la Parola di Dio faccia breccia nei nostri mille pensieri, riesca a perforare la scorza dell’abitudine e allora accade. Accade, amici, promesso. Accade che quel brano di Vangelo ascoltato mille volte canti nel tuo cuore e ti faccia sgorgare un fiume di lacrime. Accade di non avere parole per esprimere il tuo scoraggiamento e di recitare un salmo che ti affiora dal profondo della memoria. Accade di udire la parola giusta al momento giusto, in una parola la preghiera diventa silenziosa presenza che riempie e motiva la vita.

Suggerimenti
All’inizio è un po’ difficile e faticoso, ma non scoraggiatevi: la preghiera ha bisogno di un luogo, di un tempo, di una parola detta e ricevuta, di una comunità in cui celebrarla. Di un luogo, anzitutto: perché non prendere la bella abitudine, in casa nostra, di ritagliare un luogo di deserto: la bibbia, una candela, un’icona possono bastare per fare di quella mensola una piccola Cattedrale. Un tempo: cinque minuti al giorno di orologio vissuti nel silenzio, con la Parola di Dio in mano, nel momento più opportuno (chi al mattino presto, chi alla sera, chi sulla panchina del parco in pausa pranzo). Una parola detta: la mia giornata, il mio stato d’animo, il mio `grazie`, l’importante e che sia autentica e rivolta la Padre che sa ciò di cui ho bisogno. Una parola ricevuta: leggendo un salmo, la Parola ascoltata alla domenica, un brano di vangelo – breve – da leggere due o tre volte invocando lo Spirito e concludo – sempre! – con la preghiera insegnataci dal Maestro e con un’invocazione alla prima dei discepoli, Maria di Nazareth.
Infine la tensione verso la comunità: nella celebrazione gioiosa e festosa della domenica, se possibile, nel partecipare ad un incontro infrasettimanale, nel sapere che mentre sto pregando, certamente da qualche parte del pianeta un altro fratello cristiano sta pregando con me (una globalizzazione dell’amore!). E’ possibile, amici, credetemi, la preghiera può cambiare la vita, renderla più autentica e felice. La preghiera può scaturire dal cuore quando meno te l’aspetti: un requiem se al telegiornale sentiamo di qualche uccisione, un augurio segreto (terroristi dello Spirito!) a quel tale imbronciato seduto di fronte a me sulla metro, una lode insieme a frate Francesco ai primi tepori della primavera… E voi coppie cristiane, non esitate a pregare insieme, almeno un Padre Nostro recitato insieme, per affidare a Dio la vostra famiglia. Il segreto della vita di Gesù è il suo intimo colloquio col Padre. Perché non imitarlo?

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