Dicevamo, domenica scorsa, di questa strana abitudine che ha il nostro Dio nell’ostinarsi nel chiedere a noi di dargli un colpo di mano a raccontare in giro la sua vera identità.
Ricordate gli strani tre casi di discepolato? Dei rischi nascosti dietro l’apparenza di un cristianesimo devoto? Del rischio di fare della fede un nido, dello sperimentare la religione come qualcosa di noioso e mortifero, del cedere al rimpianto del passato… No: Gesù ha bisogno di discepoli svegli, pronti a scattare, gioiosi e aperti alla vita, capaci di guardare avanti senza rimpianti e scoraggiamenti…E che dire della voglia di vendetta del mite Giovanni e del tenero Giacomo? Un forte richiamo allo stile con cui annunciare, fatto di serenità e profondità…
Oggi la riflessione continua: potremmo dire che il Signore dà della istruzioni sullo stile dell’annuncio. Prima – però – permettetemi un passo indietro; sì perché ho paura di dare per scontato ciò che scontato non è: Gesù chiede ad ognuno di noi di rendergli testimonianza. Non ai missionari in Africa, ma a noi che viviamo in questo mondo profondamente disevangelico, in mezzo a persone che non sentono vibrare nel cuore la presenza misteriosa del Maestro Gesù.
Mi spiego meglio: se per te che leggi la fede è più che sufficiente così e va bene quei due gatti che vengono a Messa e che non possiamo esagerare allora smetti di leggere. Ma se la fede è contagio, se Cristo è una malattia da cui non si guarisce, se senti pulsare almeno un po’ del sogno di Dio nei tuoi sogni, occorre annunciare, parlare, celebrare, cantare, gioire, raddrizzare la brutta idea di Dio che molti si sono fatti (anche grazie a noi).
Luca dà le istruzioni:si annuncia a due a due (niente navigatori solitari o mistici guru nella Chiesa) per preparargli la strada (poi Lui viene!Il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi!), consapevoli di essere come agnelli in mezzo a lupi (qualche piccola presa in giro è da mettere in contro: cristiano – per molti – significa fanatico e troglodita), senza grandi mezzi (ahi ahi…attenti alla holding del sacro e al business dell’apparizione!), portando la pace e l’attenzione al povero (in questi tempi di G8 va bene ricordare che prima del profitto c’è la dignità dell’uomo…), restando, condividendo (il cristiano a parte dal mondo? Ma dai!…), dicendo una cosa banale, semplice, splendida: “il regno di Dio ti si è fatto vicino”. Sì amici, tutto qui. Gesù ha bisogno di gente che con stile dica la semplice verità del Vangelo: Dio ti si è fatto vicino. Non cercarlo, non bestemmiarlo, non fregartene: Dio è qui, non lo vedi?
E dove arriva la Parola il male arretra, sbigottito. E Gesù gioisce con noi perché quando vede che l’uomo lo accoglie, si riempie di gioia il cuore di Dio. Sì amici, siamo pieni di gioia, come i settantadue discepoli. Pieni di gioia perché vediamo che le persone incontrano Dio, pieni di gioia perché nel delirio del mondo contemporaneo – immutato – il bene e il bello albergano nel cuore degli uomini, pieni di gioia perché c’è salvezza e siamo resi capaci di vederla intorno e dentro di noi. Pieni di gioia perché i nostri nomi sono scritti nel cielo, perché – cioè – Dio mi conosce, Dio sa chi sono, Dio vuole me.
La missione diventa allora contagio, condivisione, non sforzo. Una candela accesa non si sforza di far luce, brucia, e basta. Dio cerca discepoli così.