Nevica.
Non molto, ma quanto basta per dare un bel tono invernale a questo dicembre appena iniziato. Approfitto delle poche ore di luce per farmi una passeggiata post-prandiale e lasciare che l’aria fredda scacci via la stanchezza e i pensieri scuri. Mi fermo e mi guardo intorno: un leggero vento freddo alza le nubi e mi beo nel contemplare lo spettacolo sempre emozionante dei larici e degli abeti imbiancati. Sono d’accordo con voi: è meglio fare il prete dalle mie parti che non in una grigia periferia sotto la caligine e lo smog.
In settimana è uscita l’enciclica del Papa, sulla speranza. In realtà ne ha in cantiere un’altra che ha interrotto per scrivere prima questa sua lettera di incoraggiamento. Si vede che anche lui si accorge che stiamo scivolando tutti nel baratro scuro della disperazione, della mancanza di speranza, dell’assenza di prospettive.
Tenero bavarese ottantenne, timido successore di Pietro, nonno incanutito che vuole mandare un messaggio di speranza al mondo spaesato! Come Isaia, come Paolo, come Giovanni il folle di Dio.

Attese
Abbiamo messo in moto la preparazione all’avvento: riunione di catechisti, il coro della parrocchia, qualche idea per l’animazione della messa di Natale, la messa in cui dovremo, noi toccati dalla tenerezza del Verbo, cercare di annunciare Cristo ai tanti cristiani che verranno per una (buona) tradizione.
Ci prepariamo al Natale 2007 per essere presi, non lasciati. Presi dalla sconcertante notizia di un Dio che si fa uomo, di un Dio che rischia tutto diventando un bambino fragile e inerme.
Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù; ma non c’è bisogno di essere cristiani per crederlo! Siamo cristiani se desideriamo, nella semplicità e la povertà del desiderio, che Cristo nasca nei nostri cuori.
Animo, cercatori di Dio, ammaliati da Cristo, affascinati dalla sua Parola, animo.
Uomini e donne ci annunciano la venuta di Cristo nella gloria, mentre a noi è dato di accoglierlo nella storia personale di ciascuno.
Isaia, immenso profeta, sogna un mondo in cui il Messia riporta l’armonia che abbiamo perso per strada. Paolo, alla fine del suo percorso di annunciatore, scrive ai cristiani di Roma invitandoli a tenere viva la speranza a partire dalla consolazione che ci deriva dall’ascolto delle Scritture, scritte apposta per noi.
Certo: la Storia grande è al di sopra e al di là della nostra capacità di comprensione. Ma nel percorso verso la totalità, la Parola e la Profezia ci aiutano a conservare la speranza, nell’attesa che venga il Signore della gloria.

Il grande Battista
Maria la bella, la ragazzina quattordicenne di Nazareth ci ha insegnato, ieri, a dimorare nella fede, giorno per giorno. Maria ci suggerisce di essere pronti, perché Dio viene quando meno te lo aspetti, anche nel nascondimento di un buco di posto come era Nazareth.
Oggi Giovanni il folle ci scuote con parole che schiaffeggiano, invece di accarezzare.
Il Battista, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla Storia, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l’inaudito di Dio.
Persone ragguardevoli e devote come i farisei sono duramente criticate perchè la loro grande fede è rovinata da un ritualismo e da un moralismo esasperato. Giovanni li scuote: non basta fare gesti (audaci) come ricevere il Battesimo per convertirsi, occorre cambiare vista, prospettiva, pensiero, abitudine. È un monito indirizzato a chi, tra noi, vive al servizio delle comunità: siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell’abitudine alla fede.
Simile alla sindrome dell’altronatale, anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell’esteriorità, svuotando la fede dall’incontro con Dio.

Oggettivamente jellato
Giovanni è l’ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini, sul modello dei grandi Profeti del passato. Ma i tempi sono cambiati: le persone non si convertono con le minacce o i sensi di colpa, Dio decide diversamente. Giovanni minaccia incendi e roghi, e invece arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona e il Messia non spegne la fiammella tremante e non spezza la canna incrinata!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo, così inatteso che il più grande uomo di tutti i tempi dovrà ancora convertirsi, alla fine della propria vita vissuta nell’austerità e nella penitenza.

Profezie
Abbiamo bisogno di profeti, e numerosi profeti ancora abitano le nostre grigie città.
Persone all’apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l’indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando ogni obiezione, ogni tenebra, ogni paura. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione (“abbiamo Abramo come padre!”) o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida (“fatte frutti degni di conversione”). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio – diventando uomo – separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo.
O a rifiutarlo.
Finchè Dio è sulle nuvole, divinità scostante da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato!
Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.
Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c’è bisogno di vestire pelli di cammello, tranquilli, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell’oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo in questa settimana.
Non servono crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti per diventare profeti, è sufficiente portare un’unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista: “Accorgiti che il Regno si è fatto vicino”. Diciamolo a tutti, amici, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.

Grande
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, che ridicolizzi le nostre assonnate parole, che giudichi le nostre svuotate celebrazioni!
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.

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