Un discorso impegnativo che continua. Pare proprio che Giovanni voglia mettere alle strette i propri lettori, sfidandoli a passare, come i contemporanei d Gesù, da un piano fisico ad uno spirituale, da uno che sazia a uno che salva, dal pane alla vita vera. Abbiamo già approfondito il fatto che spesse volte il nostro rapporto con Dio é legato semplicemente al "pane": Dio mi serve per … , mi aiuta a … , fa per me questo … e invece la promessa di Gesù è infinitamente più profonda, più impegnativa, più straordinaria. Due concetti, oggi, vorrei condividere con voi: Gesù afferma anzitutto che nessuno può raggiungerlo se non é attirato dal Padre. Già: non possiamo avvicinarci al mondo della fede senza esserne attirati dal Padre. E’ sua l’iniziativa, é Dio che ha piantato nel nostro cuore la nostalgia della sua presenza, l’ansia della pienezza. Spesse volte la fede viene "orizzontalizzata": è nostra inziativa, nostro sforzo, nostro merito. Ascolto la Parola, mi metto a pregare, frequento la Messa. Ma sono io a condurre il gioco. Eppure, chi fa l’esperienza di Dio ha chiarissima l’impressione che più ci si avvicina alla verità e più i giochi si ribaltono: è Dio a condurre la mia vita e la stessa fede che ho nel cuore e che cresce non é risultato di uno sforzo ma di un abbandono, di una fiducia che si allarga. La f’ede, che è anzitutto adesione, coinvolgimento, non è allora un sottile ragionamento che conduco fino a convincermi, ma un allentare le resistenze perchè mi fido. Una delle cose che non reggo più molto é quando qualcuno, sapendo della mia pretaggine, mi sfida a tenzone dialettico; cioè: tu prete portatore di una arcaica ideologia ,ti sfido a dimostrare l’indimostrabile in nome della modernità (o, per i raffinatissimi, della post-modernità). No, scusate, volentieri condivido, parlo, ascolto, ma discutere basta. Per un semplice fatto: la fede non è anzitutto cognizione ma incontro. E’ la stessa differenza che passa tra disquisire sull’amore senza essersi mai innamorati e parlarne nel mezzo di una storia travolgente! Così, Agostino, parla di questo essere attirati con parole dense di poesia: "Ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore, Signore, e il nostro cuore è senza risposo finchè non dimora inTe". Gesù mette le carte in tavola: questa conoscenza questo incontro é per sempre, é eterno, là dove l’eternità non é una noiosa dimensione lunghissima, ma uno stato di vita finalmente vissuto in pienezza. Eternità iniziata il giorno della nostra nascita e che cresce (ma cresce?) fino alla nuova dimensione dopo la morte. Non faccio nessuna fatica a credere all’eternità, né all’immortalità: é sufficiente mettersi senza pregiudizi a leggere i segni strabilianti della dignità dell’uomo, delle sue emozioni, delle sue aspirazioni, per rendersi conto che o é un capolavoro da portare a compimento o il più inquietante dei mostri del destino, pieno di aneliti castrati. Questa immortalità, questa eternità é già fin d’ora celebrata, vissuta nell’Eucarestia, in questo pane di vita che il Signore ci ha lasciato come pegno di immortalità, come dono e promessa di vita. Eucarestia che é manifestazione misteriosa dell’Amore di Dio, che già da ora é incontro e epifanìa. Con questa visione dovremmo avvicinarci all’incontro domenicale con il Signore, in questa prospettiva la comunità cristiana gioisce di ritrovarsi ogni domenica. Un discorso forse un po’ troppo teologico, quello di oggi, ma che pure rivela per il concreto, per il quotidiano alcuni atteggiamenti concreti: l’abbandono fiducioso nel Dio che dona la fede, anzitutto, con il desiderio del raggiungimento di una pienezza che solo Dio può dare. Che le nostre assemblee domenicali riescano, almeno nel desiderio, ad esprimere questo grande Mistero consegnato alle nostre mani e alla nostra superficialità!

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