Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo?
Sono stupiti e amareggiati, i discepoli. Il Maestro se ne va proprio ora che, infine, avevano capito il grande disegno di Dio su Gesù, proprio ora che, finalmente, avevano superato il dolore e si erano convertiti alla gioia! Proprio ora che, come nel finale in una bella commedia americana, tutto sembrava chiaro, lineare: il Regno era finalmente iniziato e Gesù avrebbe regnato con i suoi fedeli (?) apostoli per l’eternità.
E invece no.
Spiazzati, nuovamente.
Gesù torna al Padre, e affida l’annuncio del Regno ai discepoli.
Che storia.

Scambio sfavorevole
Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo?
Quante domande la Parola rivolge al cercatore di Dio.
Perché piangi, anima mia, perché su di me gemi?
Perché cercate fra i morti uno che è vivo?
Dio ci interroga, ci scuote, ci invita ad andare oltre, a crescere, a credere.
No, non dobbiamo cercare in cielo il volto di un Dio che ha calpestato la terra.
Lo possiamo cercare là dove ha deciso, per sempre, di abitare: in mezzo ai fratelli più poveri, in mezzo alla comunità di coloro che credono nel Nazareno.
Paradosso insostenibile del cristianesimo!
Prima ci chiede di credere che il Dio invisibile si è fatto uomo.
Ora ci chiede di credere che il Dio accessibile si consegna nelle fragili mani di uomini peccatori e incoerenti!
Scambio sfavorevole: invece di incontrare il volto radioso e sereno del Maestro, incontriamo il volto rugoso e segnato dei cristiani…

E se, invece
Ma se, invece, Gesù avesse voluto dirci qualcosa di nuovo? Di inatteso? Se davvero nei progetti di Dio ci fossimo noi? Se, mettete il caso, davvero Gesù abbia (follemente) affidato l’annuncio del Regno alla Chiesa, peggio: a questa Chiesa?
Il nostro non è un Dio manager amministratore di una multinazionale del sacro che dirama le direttive e un numero verde per le emergenze, con gentili angeli che non danno mai risposte utili e fanno solo perdere tempo e pazienza, no.
Il Dio presente, il Dio in cui crediamo è il Dio che accompagna, certo, ma che affida il cammino del vangelo alla fragilità della sua Chiesa.
Il Regno sperato dagli apostoli occorre costruirlo, la nuova dimensione voluta dal Signore per restare nel mondo, non è una soluzione magica, ma è una dimensione pazientemente intessuta da ognuno di noi. È il tempo in cui dobbiamo rimboccarci le maniche.
Siamo noi, ahimè, il volto di Gesù per le persone che incontriamo sulla nostra strada…
Tu che leggi, fratello, sei lo sguardo di Dio per le persone che incontrerai.
Così il nostro Dio originale e spiazzante ha deciso.
E così davvero accade.

Il tempo della Chiesa
L’ascensione segna la fine di un momento, il momento della presenza fisica di Dio, dell’annuncio del vero volto del Padre da parte di Gesù, che professiamo Signore e Dio, con la rassicurazione, da parte di Dio stesso della sua bontà e della sua vicinanza nello sguardo di noi discepoli.
Ora è il tempo di costruire relazioni e rapporti a partire dal sogno di Dio che è la Chiesa: comunità di fratelli e sorelle radunati nella tenerezza e nella franchezza nel Vangelo.
Accogliamo allora l’invito degli angeli: smettiamola di guardare tra le nuvole cercando il barlume della gloria di Dio e – piuttosto – vediamo questa gloria disseminata nella quotidianità di ciò che siamo e viviamo.
La gloria di Dio, che abbiamo assaporato, siamo invitati a raccontarla, a renderla credibile ed accessibile, ben consapevoli che solo nel di più, nell’altrove riusciremo finalmente a realizzarla in pienezza.
Restiamo in città, non fuggiamo la disperante banalità dell’oggi, perché è lì che Gesù sceglie di abitare: nell’oggi, nel delirio confuso della mia città.
Cerchiamo Dio, ora, nella gloria del Tempio che è l’uomo, tempio del Dio vivente, smettiamola di guardare le nuvole, se Dio è nel volto povero e teso del fratello che incrocio.
Il Signore ci dice che è possibile qui e ora costruire il suo Regno. L’ascensione segna l’inizio della Chiesa, l’avvio di una nuova avventura che vede noi protagonisti in attesa del suo ritorno definitivo.
E se la Chiesa ci ha masticato, offeso, provato, combattiamo con più forza, imitiamo i santi che convertirono la Chiesa a partire da loro stessi.

Staremo ancora a naso in su a scrutare gli astri?
A implorare un intervento divino?
O non vedremo – piuttosto – la presenza di Dio tra i suoi discepoli, presenza segnata nella fatica dell’accoglienza, nella vita di fede, nel desiderio di un mondo più solidale da costruire giorno per giorno?
Ascendiamo, fratelli: smettiamola di fare i bambini devoti.
Dio – ora – ha bisogno di discepoli adulti, capaci di far vibrare il Vangelo nella vita, capaci di dire la fede in modo nuovo.

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