Diciamoci la verità: Dio è in ritardo. In ritardo se lo stiamo aspettando come le damigelle della sposa di domenica scorsa. In ritardo se davvero crediamo che nella pienezza dei tempi il Maestro tornerà per completare la Creazione. In ritardo, anche se qui e oggi (e questo è lo stupore della vita) siamo capaci di coglierne le tracce, di esserne abitati, anche solo per pochi istanti radiosi. Dio è in ritardo e questo benedetto tempo della Chiesa, tempo della costruzione del Regno, tempo della profezia nello Spirito, tempo dell’annuncio, è una sfida immensa alle nostre comunità.
Siamo chiamati ad aspettare con pazienza, aspettare come si aspetta uno sposo, ci diceva domenica scorsa Gesù. Un’attesa che è una sfida a ciascuno. Siamo chiamati ad individuare la nostra chiamata, ad esprimere il nostro talento, a metterlo a servizio del Regno.
Talenti
La parabola di oggi ci svela come il Vangelo abbia talmente inciso il pensiero occidentale da modificarne il linguaggio. Quando una persona è capace, ha delle risorse, diciamo che ha `talento`, senza sapere che il talento è la famosa moneta affidata ai servi della parabola.
Abbiamo dei talenti, dunque, e questa è una bellissima notizia: chi più, chi meno, ad ognuno è affidato un capitale da far fruttare, una risorsa da mettere a disposizione.
Tutti, senza eccezioni, possediamo dei `talenti`: anche quelle persone che non riescono ad accorgersene o che – peggio – passano il tempo ad invidiare i talenti degli altri nascondendo il proprio sottoterra.
E’ difficile accorgersi dei propri talenti, siamo tutti pronti a sottolineare i nostri difetti, ma facciamo fatica a guardare con obiettività alle nostre qualità.
Con i giovani propongo sempre una veglia di preghiera `birichina`: ognuno ha un foglio bianco e una matita; su di una facciata chiedo loro di scrivere le cose da eliminare dal loro carattere i loro difetti… musica di sottofondo, tutti si impegnano a scrivere… poi chiedo loro di scrivere sul retro del foglio i loro pregi, i loro talenti… dovreste vedere gli sguardi smarriti!
Tutti indugiano, scuotono la testa e, quando proprio va bene, tirano fuori un piccolo aspetto positivo.
Il Signore ci chiede di prendere coscienza delle nostre qualità per metterle a servizio degli altri, per metterle a servizio del Regno che avanza. Esiste una malsana interpretazione dell’umiltà che vedo molto diffusa tra i discepoli: quella di dire `non valgo a nulla`. Non è umiltà, è depressione! Immaginatevi la faccia di Dio che vuol fare di noi dei capolavori, che ci ha creato con misteriosa provvidenza e arte e che si sente dire `Faccio schifo`!
Mettiamo a frutto i nostri talenti, individuiamoli e poi doniamoli ai fratelli.
Non si tratta di diventare dei premi Nobel della medicina, per carità!
Magari riconosco come un dono la capacità di pazientare, o di ascoltare, o di perdonare, il mio buonumore, la mia sincerità, la mia capacità di accorgermi degli altri, e, con semplicità, ne faccio dono agli altri. Ricordate Giovanni il Battista? Il più grande tra gli uomini (giudizio di Gesù!) dice di sé, interrogato dai farisei: `Io sono voce`. Un po’ pochino, no?
No: Giovanni ha scoperto di essere `voce`, Voce prestata alla Parola di Dio, voce messa a sua disposizione. Bellissimo!
Comunità di talentuosi
Nell’attesa del ritorno del Signore corriamo il rischio di stancarci, di tenere basso il profilo, di attendere senza operare. Come il servo idiota della parabola, spesso seppelliamo i nostri talenti o li mettiamo in contrapposizione gli uni con gli altri. Siamo ancora lontani dal valorizzare, nelle nostre stanche comunità i talenti di ognuno. La logica del mondo chiede di essere produttivi, aggressivi, decisi, forti, per spaccare il mondo, per conquistare mercati e danari. Nella logica del Regno ciò che conta è amare e ciascuno, anche la persona anziana, anche il fratello inabile, diventa una risorsa estrema nel mercato del cuore inaugurato dal Maestro, là dove sono beati i poveri e i sofferenti.
Gesù non sopporta un atteggiamento rinunciatario e lamentoso da parte delle nostre comunità, ma ci invita ad essere operosi e fecondi, non nella logica del mondo (non siamo una holding del sacro!) ma nella direzione della condivisione evangelica e della Profezia. E’ possibile, amici: le nostre Parrocchie, smarrite nelle profondità della provincia o anonime tra anonimi caseggiati delle nostre periferie, sono chiamate a diventare volto povero della presenza di Dio.
Povero perché fatto da noi, perché composto da fragili discepoli, ma piene di speranza perché orientate alla venuta dello sposo…
Buona settimana, intenti a far fruttare i nostri talenti, amici!