Siamo bene-amati, il Signore è proprio contento di noi, è contento di me.
È difficile amare bene, lasciando liberi, aiutando a crescere, valorizzando l’altro, amare senza possedere, amare donando le ali, amare senza ricatti.
E Dio ci riesce.
In quest’anno dedicato a Luca, scriba della mansuetudine di Cristo, iniziamo il tempo ordinario con un’inserzione giovannea (e meno male che d’ogni tanto lo leggiamo Giovanni!): le nozze di Cana.

Sbronze
Conosciamo tutti (e bene) il brano in questione: il matrimonio in cui finisce il vino, la sollecitazione di Maria, l’acqua diventata vino, la sbronza colossale e i complimenti del sommelier.
E vai con Gesù maghetto e ce ne fossero di gente così ancora oggi.
Non è proprio così: questo matrimonio è piuttosto strano.
Manca del tutto la sposa, lo sposo è coinvolto solo per ricevere i complimenti per una cosa che, in teoria, non lo riguarda e per cui non ha fatto assolutamente nulla!
A margine notiamo la scortesia di Gesù verso sua madre e, ciliegina sulla torta, l’assurda presenza di giare di pietra per la purificazione da 100 litri (e che se ne facevano?). Le giare c’erano, sì, ma nel cortile del Tempio a Gerusalemme e, certamente, non a Cana.
Insomma tante cose che non tornano e che dobbiamo capire meglio.

Matrimonio fallito
Il matrimonio fra Israele e il suo Dio langue, è come quelle giare: impietrito e imperfetto (sono sei le giare: sette – numero della perfezione – meno uno), una religiosità stanca e annacquata che non dona più gioia, che non è più festa. Molto simile alla nostra religiosità contemporanea.
Maria, la prima tra i discepoli, se ne accorge e invita Gesù a intervenire.
I servi fedeli sono coloro che tengono in piedi il matrimonio fra Israele e il suo Dio, coloro che – con fatica e senza capire – obbediscono. E il loro gesto fedele porterà frutto e rianimerà la festa.
Animo amici che vi sentite come i Panda in via di estinzione quando vi sbattete passando i pomeriggi in Parrocchia! La vostra fedeltà è necessaria la miracolo del vino nuovo!
È Gesù lo sposo dell’umanità che trasforma l’acqua dell’abitudine nel vino della passione, è lui che riceve i complimenti da noi sommeliers, discepoli ubriacati dall’ebbrezza della Parola.

Da madre a donna
È Maria che si accorge della mancanza del vino. È sempre lei che, discretamente, vede che non c’è più gioia nella nostra vita. E interviene.
Gesù sente la sua richiesta e le risponde malamente (all’apparenza): «Che vuoi da me, donna, non è ancora giunta la mia ora».
Maria dice ai servi, e a noi: «Fate quello che vi dirà».
Gesù sta dicendo alla madre: «Io sono un perfetto sconosciuto, il falegname di Nazareth, tuo figlio. Se intervengo ora, madre, mi allontanerò per sempre da te, tu per me sarai una delle tante donne che incontrerò». E Maria accetta.
Quanto è difficile tagliare il cordone ombelicale che ci lega ai figli.
Quanto più duro dev’essere stato, per Maria, rinunciare ad avere Dio per casa per donarlo (davvero!) al mondo. Maria bene-ama suo figlio e lo lascia andare.
Scomparirà, Maria, nel vangelo di Giovanni, per riapparire, ancora e solo “donna” sotto la croce.
E l’ultima sua parola è un invito a seguire il figlio.

Gioia
Così è la fede, amici: un matrimonio in cui il vino non viene mai a mancare, un incontro che, sempre, suscita gioia e passione.
Se, invece, la fede per voi è fatica e dovere, piacevole come andare dal dentista, delle due cose l’una: o state vivendo un faticosissimo momento, e allora chiedete al Signore di trasformare l’acqua in vino, o proprio non siete presenti al banchetto nuziale.
Così inizia l’anno nuovo, con semplicità e stupore.
Qualunque cosa accadrà, quest’anno è l’anno in cui vogliamo dare al Signore la nostra fedeltà imperfetta, la nostra vita pietrificata, per vederla trasformare nel vino nuovo del Regno.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *