Verrà, il Signore, nella pienezza dei tempi.
Tornerà solo quando noi tiepidi discepoli saremo riusciti a costruire un pezzo di Regno, senza presunzione, senza chiusure, senza arroccamenti.
Verrà e regnerà nella pienezza, su di noi che ora viviamo nella parzialità.
In questo tempo fra ora e allora, possiamo diventare succursali del Regno, testimoni del risorto. Mettendo a frutto i doni che ci sono stati donati, mettendo a frutto i nostri talenti.

Talenti
La parabola di oggi ci svela come il vangelo abbia talmente inciso il pensiero occidentale da modificarne il linguaggio. Quando una persona è capace, ha delle risorse, diciamo che ha “talento”, senza sapere che il talento è la famosa moneta affidata ai servi della parabola.
Abbiamo dei talenti, dunque, e questa è una bellissima notizia: chi più, chi meno, ad ognuno è affidato un capitale da far fruttare, una risorsa da mettere a disposizione.
Tutti, senza eccezioni, possediamo dei talenti: anche quelle persone che non riescono ad accorgersene o che – peggio – passano il tempo ad invidiare i talenti degli altri nascondendo il proprio sottoterra.
È difficile accorgersi dei propri talenti, siamo tutti pronti a sottolineare i nostri difetti, ma facciamo fatica a guardare con obiettività alle nostre qualità.
Eppure il Signore è categorico, su questo tema. È ovvio che possediamo dei talenti, non ci sono ragioni per dubitarne. Spesso, tra i cattolici, trovo persone che confondono l’umiltà con la depressione, e che giocano a fare i modesti seppellendo, di fatto, il proprio talento nel terreno.
Il Signore ci chiede di prendere coscienza delle nostre qualità per metterle a servizio degli altri, per metterle a servizio del Regno che avanza.
Mettiamo a frutto i nostri talenti, individuiamoli e poi doniamoli ai fratelli.
Non si tratta di diventare dei premi Nobel della medicina, per carità!
Magari riconosco come un dono la capacità di pazientare, o di ascoltare, o di perdonare, il mio buonumore, la mia sincerità, la mia capacità di accorgermi degli altri, e, con semplicità, ne faccio dono agli altri. Ricordate Giovanni il Battista? Il più grande tra gli uomini (giudizio di Gesù!) dice di sé, interrogato dai farisei: “Io sono voce”. Un po’ pochino, no?
No: Giovanni ha scoperto di essere “voce”, voce prestata alla Parola di Dio, voce messa a sua disposizione. Bellissimo!

Grandi donne, grandi uomini
La splendida pagina del libro dei Proverbi ci dipinge il modello di una donna virtuosa secondo i canoni dell’antichità ebraica. A noi, oggi, specialmente alle donne lettrici!, questa descrizione fa sorridere, e, forse, urta. Eppure c’è una profonda verità dietro il ritratto della donna virtuosa dedita al lavoro: il mondo ebraico, diversamente da come ci immaginiamo, valorizza il ruolo della donna e chiede al marito (duemilatrecento anni fa!) e ai figli di riconoscerne il talento.
Di più: i talenti da far fruttificare non consistono solo in eventi strepitosi, in gesti eclatanti.
Ci sono persone completamente assorbite dalla propria vita che non hanno la possibilità o la capacità di mettersi a servizio dei poveri e dei malati: nel loro modesto impegno quotidiano, dice la Scrittura, realizzano il proprio talento.
Possiamo realizzare il Regno senza compiere nulla di strepitoso, perché, agli occhi di Dio, vale il cuore, non il risultato.
Animo sorella che hai vissuto tutta la vita per i figli! Coraggio sorella inchiodata ad un letto di sofferenza! Gioisci fratello che hai sempre dovuto accettare gli scarti dalla vita!
Il nostro mondo, falso e ipocrita, ci fa credere di contare, di potere, di riuscire. E i giovani spesso si illudono, credendo che il futuro e il mondo siano loro.
Si sbagliano: il futuro e il mondo sono di quattro arroganti che non vogliono cederne neanche un millimetro.
La Parola, allora, ci sprona: metticela tutta per riuscire a realizzare il tuo sogno, ma sia che tu ci riesca, sia che tu lo fallisca, sarai giudicato sull’amore. E tutti possiamo amare. Tutti.
È significativo il fatto che la pagina del vangelo di oggi precede quel gigantesco affresco che è il giudizio universale, dove Gesù chiede di essere riconosciuto nell’affamato, nel povero, nel carcerato. È un talento enorme quello di riconoscere Gesù nel volto dei fratelli!
Di più: san Paolo ci invita a vegliare, a stare desti. In un mondo narcotizzato e sazio, stanco e convulso, è già una gran cosa non omologarsi, ragionare con la propria testa.
E con il vangelo in mano.

Comunità di talentuosi
Nell’attesa del ritorno del Signore corriamo il rischio di stancarci, di tenere basso il profilo, di attendere senza operare. Come il servo idiota della parabola, spesso seppelliamo i nostri talenti  o li mettiamo in contrapposizione gli uni con gli altri. Siamo ancora lontani dal valorizzare, nelle nostre stanche comunità, i talenti di ognuno.
La logica del mondo chiede di essere produttivi, aggressivi, decisi, forti, per spaccare il mondo, per conquistare mercati e danari. Nella logica del Regno ciò che conta è amare e ciascuno, anche la persona anziana, anche il fratello inabile, diventa una risorsa estrema nel mercato del cuore inaugurato dal Maestro, là dove sono beati i poveri e i sofferenti.
Gesù non sopporta un atteggiamento rinunciatario e lamentoso da parte delle nostre comunità, ma ci invita ad essere operosi e fecondi, non nella logica del mondo (non siamo una holding del sacro!) ma nella direzione della condivisione evangelica e della Profezia.
È possibile, amici: le nostre Parrocchie, smarrite nelle profondità della provincia o anonime tra anonimi caseggiati delle nostre periferie, sono chiamate a diventare volto povero della presenza di Dio.
Povero perché fatto da noi, perché composto da fragili discepoli, ma piene di speranza perché orientate alla venuta dello sposo…
Buona settimana, intenti a far fruttare i nostri talenti, amici!

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *