È successo domenica scorsa, dopo la lettura delle beatitudini. Ho incontrato in parrocchia un gruppo di coppie che ho sposato: con loro ci vediamo una volta al mese per tenere accesa la speranza (loro e mia). Il tema l’avevano, appunto, scelto loro: è possibile essere cristiani da sposati? In cosa si vede? Come coltivare la propria interiorità con due figli e un mutuo da pagare?
Durante il confronto è stata Laura ad esprimere bene il disagio che ci aveva colpito: «Cerchiamo di andare a Messa, alla sera preghiamo con la bambina, siamo, insomma delle brave persone o ci sforziamo di esserlo. Ma se uno è una brava persona, di carattere, di temperamento, di educazione, cosa cambia da noi? In cosa si vede che siamo cristiani?».
Laura non lo sa, ma è la stessa domanda che si è posto Gesù.

Si vede?
Si vede che viviamo le beatitudini?
Si vede che non ci siamo lasciati infinocchiare dalle mille profezie e dai mille venditori di fumo che ci circondano e abbiamo davvero cercato il tesoro nel campo?
Animo, discepoli, voi che cercate la felicità tra le braccia di Dio, l’unico, il solo che può colmare il nostro cuore!
Animo, carbonari della fede che tentate – nella follia delle nostre città – di mantenere accesa la fiamma della speranza!
A noi che ascoltiamo il Signore insiste, a noi che abbiamo la quotidiana abitudine al confronto con la Parola, il Maestro osa, provoca e ci chiede se si vede che viviamo le beatitudini. E, se sì, da cosa si vede?
Vogliamo bene a chi ci ama? Bene! Perdoniamo chi ci perdona? Magnifico! Prestiamo a chi ci restituirà? Splendido! Ma cosa c’è di straordinario in tutto questo? Lo fanno tutti! Lo fa un buon musulmano e un buon ateo. Il cristianesimo, insomma, è una buona educazione? E Gesù è venuto per dirci di essere educati e buoni cittadini?

Buon senso
Il nostro cristianesimo, spesso, è un buon senso battezzato, un quieto vivere verniciato di Vangelo. Sì, Signore, spiace ammetterlo ma hai ragione: non si vede che siamo tuoi discepoli, non nei nostri atteggiamenti, non nei desideri, non nell’amore, non nella (dolorosa) profezia quotidiana.
Non si vede o si vede poco, impercettibilmente e viviamo contenti di quel nulla che facciamo, sottolineando quei pallidi gesti che hanno un qualche sentore evangelico.
Ci giustifichiamo, pure: non siamo migliori degli altri, ma almeno nemmeno peggiori!
E così diventiamo mediocri anche nell’amore.

Invece
Gesù sogna, esige, perché lui per primo vive ciò che dice.
Ci guarda e ci chiede il coraggio del paradosso, il brivido della santità, il coraggio della logica evangelica: perdona i nemici, ama senza contraccambio, sii trasparenza.
Alza il tiro, il Signore, chiede di essere discepoli, come lui, fino in fondo.
Gesù per primo ha amato i nemici, lui per primo non ha detto il male, lui per primo si è donato fino al brivido della morte.
Gesù chiede testimoni, non cristiani part-time.
Chiede incendiari d’amore, non adolescenti cresciuti che si specchiano nei propri limiti.
Gesù vuole discepoli che diventino riflesso della vera condizione dell’uomo, che in qualche modo illustrino con la loro vita che è possibile credere, che è possibile amare.
Non perfetti, non coerenti ad ogni costo, non (insopportabili) primi della classe.
Cercatori di Dio autentici che non si lasciano travolgere dai loro limiti, che non hanno paura di affidarsi.

Santità
Bello ma impossibile, ovvio.
Se la smettessimo di pensare che la fede è uno sforzo e la santità è una conquista!
Possiamo diventare misericordiosi se ci lasciamo raggiungere dal Padre, se lo lasciamo agire, se ne siamo riempiti. Perciò il Vangelo inizia con un invito pressante: “A voi che ascoltate dico…”
Gesù sa bene che l’ascolto precede l’azione, che la morale è conseguenza della fede, che la vita nuova in Cristo è possibile solo perché, appunto, c’è Cristo.
Animo, discepoli, poniamo qualche piccolo gesto profetico in questa settimana, chiediamoci, davanti all’ennesimo gesto di perdono o di pazienza, cosa avrebbe fatto al nostro posto il Nazareno.
Facciamo come Davide che, inseguito dal re Saul, pur potendolo uccidere e chiudere la partita, lo rispetta e lo lascia vivo, affidando a Dio il giudizio.
Attenti al rischio fanatismo, però.
Gesù mette al di sopra della coerenza la misericordia, chiede autenticità, ma non immola all’altare dell’integrità morale la pazienza e il perdono. Siamo coerenti, quindi, siamo conseguenti nel nostro vivere, ma senza diventare impercettibilmente giudici altezzosi dei fratelli.

Cristi
Guardatevi intorno, in questa settimana.
Vedrete il Vangelo di oggi mille volte vissuto, mille volte realizzato.
Vissuto da anonimi cristiani che sanno pazientare, amare, sperare, ragionare secondo la logica del vangelo.
Penso a quella famiglia che ha aperto la propria casa a un bimbo che nessuno voleva, per dargli un po’ d’amore; penso a quei giovani scouts che dedicano le loro vacanze al volontariato in Africa a far giocare i bambini; a quella ragazzina che ha scelto di far nascere il bambino che aveva in grembo contro il parere di tutti, penso a quel dirigente che contesta (a proprio rischio) una linea di condotta troppo aggressiva e spavalda della propria azienda, penso a quell’infermiera che ha scelto di stare tra i neonati in rianimazione, dove nessuno ha il cuore per stare.
Sì amici, se lasciamo cadere dai nostri occhi e dalla nostra mente pregiudizi e chiacchiere vedremo uomini e donne fragili compiere prodigi, vedremo spazi di nuova umanità che cresce sul ceppo invecchiato della nostra fede abitudinaria.
Come Gesù, milioni di uomini e donne, ora, stanno vivendo il paradosso del Vangelo.

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