Li abbiamo meditati tutti, quest’anno, i misteri dolorosi.
Potenza dei media che annullano tempi e distanze, che amplificano emozioni e lutti.
Questo venerdì santo resterà inciso nel cuore di molti, con le sue immagini strazianti, con la fila delle bare allineate nella piazza d’Armi dell’Aquila, con i pianti disperati dei parenti, con quelle due bare sovrapposte, madre e figlia, icona di una moderna Pietà che ha fatto il giro del mondo segnando anche i cuori più induriti, come quella piccola moto blu, ultimo regalo ad un bambino rimasto sepolto dalla macerie del terribile terremoto che ha inghiottito trecento vite e il futuro di decine di migliaia di abruzzesi.
È stata una catastrofe improvvisa, certo, come ogni terremoto, che lascia anche spazio, da copione, a qualche polemica su quei palazzi nuovi venuti giù come i castelli di sabbia. Sarà la giustizia a capire se qualcuno ha pensato di lucrare sulla pelle degli altri. La sola idea fa rabbrividire.
Settimana di Passione e morte per alcuni, di riflessione sanguinante per molti.
Di conversione, per tutti.
Può Dio?
Giuseppe mi scrive una mail asciutta, al solito.
Mi scrive da anni, dal Veneto, si definisce un adulto in ricerca di fede, spesso è polemico, mai superficiale e banale.
Come posso conciliare l’idea di un Dio misericordioso con la tragica fatalità di un terremoto?, mi scrive.
Rispondo di getto, con la pancia.
Non è possibile. Se non ci fosse Cristo.
Non possiamo spiegare il dolore, e Dio non va difeso ad ogni costo.
Dio non è il motore immobile che lancia saette dal Pantheon per punire i figli indisciplinati.
Non è questo il Dio di Gesù.
Dio, il suo Dio, il nostro Dio non si è svegliato nel cuore della notte con l’acidità di stomaco e, snervato e di malumore, ha mandato un terremoto sui poveri abruzzesi.
Oggi celebriamo la domenica della misericordia, il tratto caratteristico del volto del Dio della Bibbia, così diverso dall’orribile volto che a volte abbiamo dipinto!
Il terremoto, come altri eventi naturali, è un richiamo doloroso ad una verità che l’uomo tende a dimenticare: siamo fragili e di passaggio e l’Universo è in divenire.
Eventi catastrofici come quelli dei giorni scorsi richiamano ciascuno alla misura della nostra vita, alla brevità dei nostri anni e alla conseguente scelta di spenderlo bene, il tempo che è donato.
Oggi potrebbe essere l’unico giorno che abbiamo, viviamolo al meglio.
Di più
Papa Benedetto lo ha richiamato: in momenti così tragici, la solidarietà operosa e fattiva, umile e concreta, può rappresentare un segno della tenerezza di Dio. Davanti al dramma, tutti ridimensioniamo i nostri presunti problemi e le differenze scompaiono.
Ha fatto piacere a molti, a me fra questi, vedere la nostra classe politica stringersi in unità davanti al paese, accantonando la consueta, logorata litigiosità.
Tutti siamo stati spinti alla generosità: ho visto con i miei occhi giovani coppie valdostane mettere a disposizione una stanza del loro alloggio per accogliere qualche sfollato, anche per un lungo periodo e tutti testimoniano migliaia di casi del genere. Scalda il cuore vedere che non ci siamo irranciditi nell’egoismo e che, nella necessità, riusciamo ancora a tirar fuori il meglio di noi stessi.
Come sarebbe bello vedere la stessa solidarietà calata nel quotidiano!
Speriamo che tanta generosità continui, una volta spente le telecamere, una volta tornati nel quotidiano e archiviata l’emozione: agli abruzzesi serviranno anni per ricostruire le loro case.
Ma per chi ha subito un lutto, le ferite restano.
Non basta riflettere sulla caducità della vita.
Non basta la solidarietà.
Ci vuole un colpo d’ali per risorgere, ci vuole la grande fede di Tommaso.
Tommaso, che ci crede anche se non ci mette il naso
Tommaso è deluso, amareggiato, sconfitto.
Il suo terremoto ha un nome: crocifissione.
Lì, sul Golgota, ha perso tutto: la fede, la speranza, il futuro, Dio.
Ha vagato per giorni, come gli altri, fuggendo per la paura di essere trovato e ucciso.
Umiliato e sconvolto, si è trovato al Cenacolo con gli apostoli che gli hanno raccontato di avere visto Gesù.
E, lì, Tommaso si è indurito.
Giovanni non ne parla, tutela della privacy, ma so bene cosa ha detto agli altri.
Tu Pietro? Tu Andrea?… e tu Giacomo? Voi mi dite che lui è vivo?
Siamo scappati tutti, come conigli; siamo stati deboli, non gli abbiamo creduto!
Eppure, lui ce l’aveva detto, ci aveva avvisati. Lo sapevamo che poteva finire così, e non gli siamo stati vicini, non ne siamo stati capaci. Ora, proprio voi, venite a dirmi di averlo visto, vivo? No, non è possibile… come faccio a credervi?
Tommaso è uno dei tanti scandalizzati dall’incoerenza di noi discepoli.
Eppure resta, non se ne va, stizzito. E fa bene. Perché torna proprio per lui, il Signore.
E l’incontro è un fiume di emozioni. Gesù lo guarda, gli mostra le mani, ora parla.
Tommaso, so che hai molto sofferto. Anch’io, guarda.
E Tommaso crolla. Anche Dio ha sofferto, come lui.
Buona resurrezione, amici terremotati (e tutti gli altri amici vittime dei terremoti dell’anima).