Siamo partiti per un cammino di quaranta giorni di essenzialità. Quaranta giorni alla sequela del Maestro Gesù che, nel deserto, sceglie un messianismo di basso profilo, di relazione, di profezia, rifuggendo la tentazione di una religiosità urlata e chiassosa.
Quaranta giorni per convertirci alla gioia Pasquale, per lasciar crescere in noi la tenerezza del volto di Dio, per imparare o re-imparare cosa ci è davvero necessario. Digiuno dal caos e dalla rabbia, preghiera quotidiana basata sulla Parola ed elemosina per aprire il cuore (e il portafoglio) ai fratelli che camminano con noi e che vivono nella povertà, sono le tre strade che siamo invitati a precorrere per tornare all’essenziale.

Lungo come un Quaresima.
Nella simpatica e luminosa coscienza cristiana del passato, questa frase sintetizza bene l’atteggiamento di insofferenza verso questo tempo liturgico che ci appare come un’imposizione di (inutili) sacrifici e desueti fioretti per mortificare il corpo. Al contrario, la Quaresima autentica non mortifica, vivifica, sapendo bene che la vita interiore è lotta radicale contro l’aspetto tenebroso della nostra coscienza e che non basta rinunciare ai dolci per convertire il cuore.
Ben più radicale è l’atteggiamento che il Maestro oggi ci chiede, non subire una serie di privazioni che ci siamo imposti, ma scegliere di scegliere, spalancare il cuore all’amore di Dio, salire sul Tabor.
`La bellezza salverà il mondo`, l’affermazione, contenuta in uno dei romanzi dello scrittore russo Fedor Dostojewski, ci introduce benissimo a questa inusuale seconda domenica di Quaresima. Vangelo poco `mortificato` e penitenziale quello che ogni anno la liturgia (saggiamente) ci propone, quasi a soffocare sul nascere la triste consuetudine cattolica di essere tristi, specialmente quando si parla di Dio. Sbagliato: quando si parte nel deserto il cuore è allegro, perché alla fine saremo liberati da Faraone e dal suo esercito. Quando si sale sulla montagna, malgrado la fatica, ciò che ci spinge a salire è la gioia che proveremo nello spaziare con lo sguardo oltre le cime.

Tabor
Pietro e gli altri sono esterrefatti da quanto accade: Gesù maestro, profeta affascinante, si rivela per quello che è; ed è un’esperienza travolgente, di bellezza sconfinata. Quanto dobbiamo recuperare questa dimensione della bellezza nella nostra vita cristiana!
Gli apostoli, inaspettatamente, si ritrovano a contemplare Gesù di Nazareth che si rivela loro nella sua forma più autentica di Figlio di Dio. Sembra quasi un’anticipazione della Resurrezione che, forse, nell’intento del Signore, serviva a dare agli ignari apostoli quel po’ di coraggio necessario per affrontare il grande scandalo della croce. Alla fine della trasfigurazione gli apostoli non vedono che `Gesù solo`. Certo: il momento in cui raggiungiamo attraverso la preghiera e la contemplazione il volto di Gesù Risorto, vivo qui e adesso, e ci troviamo davvero scossi e scombussolati da una tale manifestazione, non vediamo che Gesù solo. Solo lui nelle nostre scelte, nei nostri fratelli, nelle nostre giornate.
Più volte lo abbiamo detto e ancora lo ripetiamo: la fede non è semplice adesione intellettuale, è coinvolgimento radicale, esperienza misteriosa di questo Dio che è altro da noi (non sentimento, non impressione, non scelta ma manifestazione).
Di questa esperienza i cristiani parlano, a questa esperienza vogliono condurre nel misterioso intreccio delle libertà (mia e di Dio) ogni fratello che si lascia avvicinare dal Vangelo.
Nessuna apparizione, per carità (Dio vi preservi dalle apparizioni!) ma la semplice possibilità di fare esperienza interiore tangibile ed inequivocabile della bellezza di Dio.
Pietro Giacomo e Giovanni, da ora in avanti, avranno sempre e per sempre impresso quel volto trasfigurato, quel Dio ora chiaramente leggibile nella natura più profonda.
E’ questa forte esperienza che manca, spesse volte alla nostra tiepida fede.
Perciò molti vivono la fede come scelta necessaria, doverosa, utile anche se immensamente noiosa.
Senza Tabor, il cristianesimo manca della sua dimensione essenziale: la bellezza di Dio.

Il Dio bellissimo
Sapete perché sono prete, amici? Perché non ho trovato nulla di più bello di Cristo.
Dovremo forse ricuperare questo aspetto nella nostra vita cristiana, ripartire dalla bellezza. Le nostre periferie sono orrende, orrende le città, orribili le finte-vacanze che ci vengono proposte in mezzo a finti paesaggi immacolati. Orribile il linguaggio e le persone che ci raggiungono dal mondo della politica e dello spettacolo. Abbiamo urgente bisogno di bellezza, della bellezza di Dio che è verità e bene e bontà.
Non è forse questa la fragilità della nostra fede contemporanea? Non è forse questa la ragione di tanta tiepidezza della nostra comunità? Non abbiamo forse smarrito la bellezza nel raccontare la fede? Nel celebrare il Risorto? E’ noioso credere. E’ giusto – certo – ma immensamente noioso. Il Vangelo di oggi ci dice, al contrario, che credere può essere splendido. Varrebbe la pena di ricuperare il senso dello stupore e della bellezza, l’ascolto dell’interiorità che ci porta in alto, sul monte, a fissare lo sguardo su Cristo. Facciamo delle nostre messe dei luoghi di bellezza: il silenzio, il canto, la fede, il luogo in cui preghiamo, può riportare un briciolo di bellezza nella nostra quotidianità.
Ma questa inaudita e straordinaria esperienza, ci ammonisce Paolo scrivendo a Timoteo, non è merito nostro o nostra conquista: è dono totale e gratuito di Dio che ci `dona ogni cosa` nel suo figlio Gesù.
Fidiamoci, partendo, come Abramo che segue l’invito di un Dio di cui non sa nulla. Partire significa credere in questo Dio di cui mi fido e che mi invita a compiere gesti che a volte non capisco in profondità, rinunciando ai miei progetti per accogliere il suo Progetto.
E’ il salto della fede, il fidarsi ciecamente di qualcuno su cui ho scommesso tutto. Abramo non capisce, stenta, tentenna, obbietta. Ma si fida.
E questo fidarsi, dura prova nella sua vita, lo fa morire ai suoi progetti per diventare, secondo la promessa, padre di una moltitudine: i credenti, appunto, che, dopo di lui, rifanno questo percorso di fiducia per arrivare fino a Dio. Tabor, quindi, come meta della nostra Quaresima. Per non vedere che `Gesù solo` occorre fidarsi come Abramo, rinunciando al proprio egoismo, salire (faticosamente!) dietro al Maestro per riconoscerlo come Messia. Questa mortificazione-vivificazione ha in gioco la presenza stessa di Dio!
Ripartiamo dalla bellezza, amici.

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