È vivo, amici, è risorto, è il per sempre presente!
Lo abbiamo accompagnato tra gli ulivi del Getsemani, quando ci siamo assopiti, vinti dal sonno, senza sapere che, accanto a noi, si stava consumando lo scontro titanico fra tenebra e amore.
Lo abbiamo seguito da lontano, come Pietro, dopo l’arresto al Getsemani, storditi ed impauriti vedendo tanta violenza su un uomo buono e mite.
Lo abbiamo visto, appeso, sfigurato, sconvolto, stracciato, perdonare i suoi assassini fino all’ultimo soffio di vita.
Poi, assieme agli altri, ci siamo chiusi nella stanza alta, quella della cena. Come se le pareti  avessero conservato qualcosa di lui. Per farci coraggio, senza neppure avere il diritto di piangere, divorati dalla paura.
Sembrava tutto finito, nel peggiore dei modi, come accade spesso nella nostra vita.
Disfatta totale, partita persa, fine dei sogni.
Troppo bello per essere vero.
E invece, sul fare del mattino, il giorno dopo lo shabbat di Pesah, Maria è venuta a dirci di correre alla tomba.

Sepolcri
È il posto meno spirituale di Gerusalemme, come i pellegrini purtroppo sanno. Della basilica costruita da Costantino il grande resta ben poco. I segni del tempo e delle vicissitudini della basilica si leggono tutti, pietra su pietra. Lo status quo, decreto emanato da un esasperato governatore musulmano, ha congelato da secoli ogni spazio e ogni minuto del giorno e della notte, così che le diverse confessioni cristiane continuano imperterrite a farsi i dispetti. La chiave del grande portale laterale è, da secoli, affidata ad una famiglia musulmana, perché i cristiani erano poco affidabili. All’interno è un susseguirsi caotico di stili e di epoche, di immagini e di ceri, di oreficeria e di incensi.
Al centro della cupola una chiesetta vegliata da un severo e annoiato monaco ortodosso permette ai fedeli di entrare a uno a uno, abbassando la testa. Dentro una minuscola stanzetta rivestita di marmi, una pietra.
È tutto quel che resta del sepolcro che Giuseppe di Arimatea regalò al suo rabbì.
Prima il sepolcro venne coperto dalla terra e, sopra, Augusto costruì un tempio pagano, nella rinata Aelia Capitolina, dopo avere raso al suolo la ribelle Gerusalemme. Poi, con l’avvento dei re cristiani, fu costruita una basilica che racchiudeva sepolcro e calvario. Infine, sotto l’occupazione musulmana, un califfo spregiudicato tentò di radere al suolo il sepolcro, facendolo scalpellare.
Nel luogo meno spirituale di Gerusalemme, strappando qualche istante al silenzio, al mattino all’alba, quando i turisti ancora sono lontani, si riesce a pregare. E restare stupiti della banalità del luogo, della fragilità degli uomini di chiesa (di ogni chiesa), dell’umorismo di Dio.
Gesù è risorto, amici!

Superare il dolore
La resurrezione di Gesù, che Giovanni evita accuratamente di descrivere, è tutta una corsa.
L’inizio, ad essere onesti, è davvero sconfortante: Maria di Magdala si muove ancora nel buio (buio del cuore, come il buio in cui si viene a trovare Giuda quando esce dal Cenacolo – Gv 13,30) e sente vicina la presenza del crocifisso; quando arriva alla tomba vede la pietra ribaltata e – stranamente – non entra, non verifica. Corre dai discepoli e trae delle conclusioni affrettate: qualcuno ha rubato il corpo di Gesù.

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