Gesù sale a Cafarnao ed inizia la sua predicazione in quel luogo di passaggio sorto sul confine, sulle rive del lago di Tiberiade, lungo la strada che da Damasco portava al mar Mediterraneo. La conosce bene questa cittadina, Matteo, lui vi abita e il suo banco delle imposte, lungo la strada principale, è tristemente noto.
Gesù si rifugia a Nord dopo avere saputo dell’arresto del Battista: è un evento triste che lo spinge a iniziare il suo ministero, abbandonando il deserto di Giuda, dopo il suo ritiro di quaranta giorni. Gesù preferisce, prudentemente, di salire al Nord, cambiando i suoi programmi. C’è poca mistica e molto martirio nella sua vita.
Altre volte, nella Scrittura, eventi inattesi e violenti provocano il diffondersi della Parola, come l’uccisione di Giacomo apostolo, che provocherà la diaspora dei discepoli lontano da Gerusalemme col conseguente diffondersi della Parola.
Se stiamo vivendo un momento difficile, non temiamo, affidiamolo al Signore, sarà lui a trasfigurarlo, e magari lo userà per diffondere la Buona Notizia.
Galilea delle genti
Siamo nel territorio di Zabulon e Neftali, come ci viene ricordato nella prima lettura: luogo abitato dalle omonime due tribù di Israele, tra le prime a cadere nel 733 a.C. nelle mani nemiche degli Assiri. Un territorio di frontiera, guardato con sospetto dai puri di Gerusalemme, luogo in cui si mischiavano credenze e riti, culture e lingue, luogo imbastardito, meticcio, perduto. Al tempo di Gesù da quei territori proveniva il movimento estremista degli zeloti, al punto che “Galileo” era sinonimo di “terrorista”.
Da quel luogo Gesù inizia la sua predicazione, dai confini della storia.
Dio è sempre così, preferisce i discoli ai bravi ragazzi, invita i primi della classe ad uscire e sporcarsi le mani, obbliga chi lo segue ad andare verso le inquiete frontiere della storia, piuttosto che serrare i recinti delle false certezze della fede. Dio è così, ama il rischio, vuole sporcarsi le mani, parte ad annunciare il Regno là dove nessuno lo aspetta, né lo desidera.
E così può/deve diventare la comunità cristiana, capace di uscire dalle chiese per ridare Dio al popolo, per condividere con esso il cammino.
Gesù sceglie di abitare, di condividere tutto, con questi abitanti, porta la luce, dona testimonianza. La nostra fede deve uscire dalle nostre chiese, Dio è stanco di essere venerato nei tabernacoli e di non riuscire ad entrare nelle nostre quotidianità, stufo di essere tirato in ballo nei momenti “sacri” ed essere estromesso dai luoghi dell’economia, della politica, del divertimento, della cultura. I discepoli si radunano ogni domenica per gioire nel Signore e trovare forza per diventare capaci di dire Cristo nel quotidiano, nel vissuto, nel vero di ciascuno, una volta usciti di chiesa.
Convertitevi
E l’annuncio è bruciante: “Convertitevi perché il Regno si è fatto vicino”. Sì, così scrive Matteo: è il Regno ad essersi avvicinato, è lui, Dio, che prende l’iniziativa, a noi di accorgerci, di girare lo sguardo (convertirsi, appunto). Dio non esordisce con qualche reprimenda morale, con qualche sensato discorso teso a suscitare pentimento e cambiamento di condotta. Lui, lui per primo si offre, si dona, rischia. Dice: “Io ti sono vicino, non te ne accorgi?” Accorgersi significa davvero mollare tutto, lasciar andare i molti affari, le molte cose, per recuperare l’essenziale, come Pietro, come Andrea, che diventano – finalmente – pescatori di uomini. Il Regno è la consapevolezza della presenza entusiasmante e sorridente di Dio. Il Regno è là dove Dio regna, dove lui è al centro. E la Chiesa, comunità di chiamati e di discepoli appartiene al regno anche se non lo esaurisce.
A Zabulon e Neftali siamo chiamati a dire: “Dio ti è vicino”. Non hai nessun merito perché ciò accada: è iniziativa libera di Dio, tu, allarga il cuore.
Rilassatevi, discepoli che prestate un difficile servizio ecclesiale con i ragazzi o con le coppie, tranquilli, amici che vi giocate nel sociale, là dove l’uomo è meno uomo e dove il dolore domina: il Regno, lui si avvicina. Non dobbiamo salvare il mondo, confratelli preti, è già salvo! È che non lo sa di essere salvo. E vive nella disperazione.
A noi di renderlo presente, questo Regno, a noi di vivere da salvati, a noi di diventare uomini-sandwich del Regno, farne pubblicità, vivere nella luce in mezzo alle tenebre che avvolgono Neftali e Zabulon.
Pescatori di umanità
Per annunciare che il Regno è vicino, Dio ha bisogno di noi, proprio là dove siamo.
Chiamati a fare esperienza di fraternità (la parola “fratello” viene ripetuta quattro volte di tre versetti!), possiamo lasciare le reti che ci trattengono (paure, affari, logica mondana) per diventare pescatori di uomini e di umanità. Siamo chiamati a tirar fuori da noi stessi e dagli altri tutta l’umanità che Dio ha seminato nei nostri cuori.
I cristiani non sono a parte, non migliori, né diversi: hanno lasciato uscire dal loro cuore l’aspetto più autentico dell’uomo. E ogni uomo è chiamato a fare un’esperienza di comunione e di autentica umanità.
Capiamo allora l’energica protesta di Paolo (e poi ci lamentiamo del brutto carattere di certi cristiani!), che ammonisce le sue comunità a non diventare degli “ultras” da stadio…Ogni esperienza (movimento, parrocchia, spiritualità) è strumento e non esaurisce il Regno, il Regno è oltre, cominciamo a farne parte che va già bene…
Lasciamo le reti che ci trattengono, i pregiudizi e le paure che ci tengono legati, le incomprensioni che ci impediscono di essere e raccontare il Regno, abbiamo ben di meglio da fare!

 

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