Gesù è risorto, ma quanta fatica gli apostoli (e noi) fanno a digerire questa notizia! Gesù è presente, vivo, incontrabile, ma la fatica del credere paralizza la fede, la delusione brucia e l’esperienza negativa della propria fragilità comporta una lunga strada di conversione che – ancora – gli apostoli devono percorrere. Che ridere! Tre anni con Gesù, tre anni di discepolato, per trovarsi da capo, a ricominciare. Ma con un cuore diverso, ora. A leggere i Vangeli della Resurrezione (ah!se fossero più conosciuti dai discepoli di oggi!) salta agli occhi la difficoltà che i discepoli hanno nel riconoscere il Signore: è lui, non è un fantasma, ma la sua nuova condizione viene accolta con difficoltà. Anzi, ad essere precisi, il riconoscimento avviene solo dopo un gesto, un segno: la voce per Maria, le bende per Giovanni, il pane spezzato per i discepoli di Emmaus, le ferite per Tommaso, la rete piena nel Vangelo di oggi; quasi come se gli evangelisti dicessero che Gesù Risorto si riconosce solo attraverso dei segni, anche oggi (gulp! Che stiano parlando dei sacramenti?). La Parola di oggi parte da una delle scene più sconfortanti dell’intero Vangelo: Pietro che torna a pescare, seguito da alcuni degli apostoli. “Torno a pescare”: l’ultima volta era accaduto tre anni prima, sullo stesso lago, vicino a casa sua, a Cafarnao. Era stata una pesca che aveva cambiato la sua vita. Ma ora è tutto finito: il Rabbì è morto, tutto chiuso, fine della bella avventura. Come in Tommaso, anche in questa scena vediamo stanchezza e fragilità, disillusione e rabbia. Ancora una volta ci ritroviamo nello sconforto degli apostoli che hanno creduto senza risultato, che hanno misurato la propria piccolezza sotto la croce. E lì, all’ombra del loro fallimento, Gesù li aspetta. Di nuovo alla fine di una notte inutile e infruttuosa, proprio alla fine, Gesù li aspetta. E li provoca: riprendete il largo. Immaginiamo solo il silenzio degli apostoli, la tensione che cresce: parole già sentite tanti anni prima. Accade, accade nuovamente: la rete è piena di pesci, si rompe, si fatica a tirarla a bordo. Allora lo riconoscono, e gridano il loro stupore: “è il Signore!”: Pietro si tuffa, arrivano a riva e Giovanni annota: sapevamo che era lui, ma nessuno aveva il coraggio di chiederglielo. Infine il dialogo – splendido – tra Gesù e il “suo” Pietro; tre volte aveva negato di conoscerlo, tre volte è chiamato a guardarsi dentro. La traduzione italiana non rende giustizia al fine greco di Giovanni: Gesù all’inizio chiede amore e da Pietro riceve un “ti voglio bene”. Pietro ora sa il suo limite, lo ha misurato. E l’ultima volta Gesù accetta, con un sorriso, questo bene. Sì: ora Pietro è pronto a seguirlo, ora Pietro potrà accompagnare i fratelli perché mai più si sentirà diverso o superiore. Una guida così serviva alla prima comunità: una persona cosciente dei propri limiti per poter accogliere e sostenere quelli dei propri compagni di viaggio. Fine del Vangelo di Giovanni, su questa parola – “seguimi” – rivolta a Pietro. E a noi. Anche nella notte della vita, anche nella fatica del quotidiano, nel delirio del tempo che ci travolge, Gesù ci chiama a seguirlo. Cosa mai può ostacolare l’amore di Dio? Cosa impedirgli di starci accanto? Cosa far tacere la sua chiamata in fondo ad ogni delusione? Gesù è risorto. Glorioso e timido Signore, misterioso e nascosto Maestro, si lascia riconoscere dai segni che ci richiamano a Lui, che ci scuotono dalla tiepidezza e dal torpore, E questo avviene in una comunità di peccatori perdonati: la rete piena è allusione alla Chiesa, i 153 pesci, numero che pare indicare l’interezza delle specie di pesci conosciute in quell’epoca, dicono che nella chiesa c’è posto per tutti coloro che si lasciano raggiungere dal Risorto, guidati e confermati nella fede dal pescatore Pietro: fratello che seppe piangere la propria fragilità e incontrò la tenerezza di Dio. Sì, ora Pietro è capace di essere vero discepolo.

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