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Lettura del Vangelo secondo Matteo 4, 12-17
In quel tempo. Quando il Signore Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: / «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, / sulla via del mare, oltre il Giordano, / Galilea delle genti! / Il popolo che abitava nelle tenebre / vide una grande luce, / per quelli che abitavano in regione e ombra di morte / una luce è sorta». / Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Un inizio che è un programma…
Oggi Matteo ci fa entrare nel vivo dell’inizio del ministero di Gesù.
Gesù sale a Cafarnao ed inizia la sua predicazione in questo luogo di passaggio sorto sul confine, sulle rive del lago di Tiberiade, lungo la strada che da Damasco portava al mar Mediterraneo.
La conosce bene questa cittadina, Matteo, lui vi abitava e il suo banco delle imposte, lungo la strada era conosciuto da tutti (anche se guardato con disprezzo visto il mestiere!).
Siamo nel territorio di Zabulon e Neftali: luogo abitato dalle omonime due tribù di Israele tra le prime a cadere nel 733 a.C. nelle mani nemiche.
Un territorio di frontiera, guardato con sospetto dai puri di Gerusalemme, luogo in cui si mischiavano credenze e riti, culture e lingue e lì Gesù inizia la sua predicazione, dai confini della storia.
Dio è sempre così, preferisce i discoli ai bravi ragazzi, invita i primi della classe ad uscire e sporcarsi le mani, obbliga chi lo segue ad andare verso le inquiete frontiere della storia, piuttosto che serrare i recinti delle false certezze della fede.
Dio è così, ama il rischio, vuole sporcarsi le mani, parte ad annunciare il Regno là dove nessuno lo aspetta, né lo desidera.
E così può e deve diventare la comunità cristiana, capace di uscire dalle chiese per ridare Dio al popolo, per condividere con esso il cammino.
Gesù sceglie di abitare, di condividere tutto con questi abitanti, porta la luce, dona testimonianza.
La nostra fede deve uscire dalle nostre chiese, Dio è stanco di essere venerato nei tabernacoli e di non riuscire ad entrare nelle nostre quotidianità, stufo di essere tirato in ballo nei momenti “sacri” ed essere estromesso dai luoghi dell’economia, della politica, del divertimento. Il movimento della comunità è l’incontro nella lode per diventare capaci di dire Cristo nel quotidiano, nel vissuto, nel vero di ciascuno.
E l’annuncio è bruciante: “convertitevi perché il Regno si è fatto vicino”.
Sì, così scrive Matteo: è il Regno ad essersi avvicinato, è lui, Dio, che prende l’iniziativa, a noi di accorgerci, di girare lo sguardo (convertirsi, appunto).
Dio non esordisce con qualche reprimenda morale, con qualche sensato discorso teso a suscitare pentimento e cambiamento di condotta. Lui, lui per primo si offre, si dona, rischia. Dice: “io ti sono vicino, non te ne accorgi?”
Accorgersi significa davvero mollare tutto, lasciar andare i molti affari, le molte cose, per recuperare l’essenziale, come Pietro, come Andrea, che diventano – finalmente – pescatori di uomini.
Il Regno è la consapevolezza della presenza entusiasmante e sorridente di Dio. Il Regno è là dove Dio regna, dove lui è al centro. E la Chiesa, comunità di chiamati e di discepoli appartiene al regno anche se non lo esaurisce.
Relax, amici, relax discepoli che prestate un difficile servizio ecclesiale con i ragazzi o con le coppie, tranquilli amici che vi giocate nel sociale, là dove l’uomo è meno uomo e dove il dolore domina: il Regno, lui si avvicina.
Non dobbiamo salvare il mondo, è già salvo!
E’ che non lo sa.
E vive nella disperazione.
A noi di renderlo presente, questo Regno, a noi di vivere da salvati, a noi di diventare uomini sandwich del Regno, farne pubblicità, vivere nella luce in mezzo alle tenebre che avvolgono Neftali e Zabulon.
Per annunciare che il Regno è vicino, Dio ha bisogno di noi, proprio là dove siamo.
Chiamati a fare esperienza di fraternità, possiamo lasciare le reti che ci trattengono (paure, affari, logica mondana) per diventare pescatori di uomini e di umanità.
Siamo chiamati a tirar fuori da noi stessi e dagli altri tutta l’umanità che Dio ha seminato nei nostri cuori.
I cristiani non sono a parte, non migliori, né diversi: hanno lasciato uscire dal loro cuore l’aspetto più autentico dell’uomo.
E ogni uomo è chiamato a fare un’esperienza di comunione e di autentica umanità.
Lasciamo le reti che ci trattengono, i pregiudizi e le paure che ci tengono legati, le incomprensioni che ci impediscono di essere e raccontare il Regno, ci aspetta ben di meglio da fare!
Paolo Curtaz