Rito Ambrosiano

Commento al Vangelo Ambrosiano

È difficile parlare di peccato, difficile e imbarazzante.
Siamo sospesi tra due atteggiamenti frutto del nostro inconscio e della nostra cultura.
Da una parte proveniamo da un passato che aveva bene in mente cosa era peccato, fin troppo,molte delle persone che hanno vissuto tutta la loro vita attente a non peccare obbedivano alla morale comune, più che al vangelo, non erano peccatori perché troppo difficile esserlo in un mondo ipercritico e giudicante.

Pani e pesci
Abbiamo fame, tanta.
Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, è lasciata al passato.
Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace.
Fame che colmi i cuori, i nostri cuori, ogni cuore.
Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà: affetti, soddisfazioni, gioie… tutto quello che facciamo, a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda, assoluta, che alberga nei nostri cuori.

Simone ha finito la prima parte del suo percorso: ora che è consapevole del suo limite può veramente rassicurare la fede dei suoi fratelli. Ora che non è più arrogante, che ha toccato sulla pelle il proprio limite, può finalmente diventare il pastore che rassicura i fratelli. Chiede di Giovanni, Pietro, chiede se non vada meglio lui. Forse ha ragione: è un mistico, Giovanni, ed era l’unico dei discepoli, insieme alla madre, a stare sotto la croce. No, Gesù ha scelto Simone, non Giovanni il perfetto.

La Parola di questa domenica ci presenta un interessante episodio di incomprensione tra i discepoli del Battista e quelli del Nazareno.
Con molta probabilità, agli inizi della Chiesa coesistevano due tipologie di battesimo: una del Battista e una dei discepoli di Gesù.
Il brano intende chiarire che Giovanni si mette da parte, che vuole che sia lo sposo a crescere, egli sente di avere concluso la sua missione e il suo percorso di vita.