Il Commento della settimana

È il primo miracolo raccontato dal primo vangelo, quello di Marco, che ci accompagnerà nel corso di quest’anno.
Un esorcismo.
Ma non pensate ad una di quelle scene truculente viste in un film horror col sacerdote che alza un crocefisso di legno davanti ad un ossesso.
Quelle sono le rappresentazioni delle nostre paure che amano immaginare l’opera del demonio come qualcosa di evidente, eclatante, sensibile, inquietante.
Poveri illusi.
Come se il demonio avesse interesse a spaventarci.

È qui, il Regno, si è fatto vicino.
Visto che non siamo in grado di cercare Dio senza stravolgerne il volto, o manipolarlo o costruirlo a nostra immagine e somiglianza è lui, Dio, a colmare la distanza che ci separa. Il Natale che abbiamo appena celebrato ci ricorda esattamente questa straordinaria verità: Dio si fa vicino, si fa incontro.
Allora svegliati, muoviti, scuotiti.
Convertiti e credi.
Convertiti: cioè guarda se la strada che stai percorrendo…

Bella scena. I due discepoli di Giovanni si avvicinano a Gesù, grandioso.
Nessuno sa chi sia, è uno dei tanti pellegrini venuto a farsi battezzare, non è ancora il rabbino che raduna folle oceaniche.
Sono determinati i due discepoli (forse sono Andrea il fratello di Pietro e Giovanni l’evangelista), ma quando si avvicinano, Gesù li gela.
Si aspettano un incoraggiamento, Gesù che dica loro: finalmente due discepoli! Grazie! Era l’ora!
Macché, si gira e dice loro: che volete? Che cercate?…

Poi capita, in anni come questi, che alzi bandiera bianca.
Perché puoi volere davvero tanto tanto bene a Gesù, ma trovarsi a messa una volta ogni due giorni, in questa alternanza fra Natale, Capodanno, Epifania e domeniche, in effetti è davvero troppo.
Si rischia di fare come per il pranzo di Natale o il Veglione di Capodanno.
Ti abbuffi, ti sfianchi di cibo fino a non poterne più…

Dio viene, l’uomo non c’è.
Non c’è l’Imperatore, che non si occupa delle cose di Dio e conta i suoi sudditi come se fossero oggetti.
Non c’ Erode, che teme la venuta di Dio come se fosse un concorrente.
Non ci sono i sacerdoti, tutti presi nel loro piccolo mondo autoreferenziale.
Non c’è la brava gente di Gerusalemme e di Betlemme, travolti dalla dimenticanza.
Dio viene, e qualcuno lo accoglie…

Eccolo.
Ancora.
Atteso eppure sempre stupefacente.
Dio nasce. Viene. Si fa accessibile. Incontrabile. È un neonato che vagisce, spogliato di ogni grandiosità, da ogni mistero.
Il Dio creatore dell’Universo, il totalmente altro, l’inaccessibile ora è qui.
Diventato uomo perché l’uomo possa diventare come dio. Perché l’uomo torni ad essere uomo.
L’incarnazione è uno dei pilastri di questa nostra fede ingenua e folle. Talmente ingenua e folle da essere incomprensibile se non accettiamo il fatto che è Dio ad avercela donata. Io credo, e lo credo davvero, che Dio si è fatto uomo…

Inizio del Vangelo di Gesù Cristo.
Così, d’impeto, scrive il giovane Marco alla comunità di Roma. La prima frase del primo vangelo scritto già rivela la fine del film. Uno spoiler che farebbe rabbrividire gli amanti delle fiction (Curtaz fra questi). Eppure Marco non teme. Perché il suo incipit asciutto e fulminante, come un pugno nello stomaco se non fossimo vaccinati da due millenni di catechismi devoti e santini, di stucchevoli visioni cattoliche, se non avessimo asfaltato lo stupore con la noia e la banalità, afferma qualcosa di inaudito…