La Resurrezione

Qualche tempo fa un docente di Teologia francese provocava i suoi studenti chiedendo: “Supponete di dover elaborare un bozzetto per un francobollo commemorativo sul cristianesimo. Cosa scrivereste in modo da sintetizzare tutta la rivelazione? Cosa è l’essenza del cristianesimo?” Ci fu un po’ di imbarazzo e qualche timida risposta. Il docente riprese: “Tre parole: Gesù è Risorto. Questo è il centro del cristianesimo.” Davvero la risurrezione di Cristo è il cuore pulsante del vangelo, l’aspetto centrale, fondante. Anche i vangeli nascono a partire da questo evento; in effetti li leggiamo al contrario, in ordine cronologico-biologico rispetto alla vita di Gesù. Ma, in realtà, è a partire dalla risurrezione che viene letta la storia di Gesù. Se leggete il discorso che Pietro fa alla folla al giorno di Pentecoste, all’inizio degli Atti, vedrete il nucleo dell’annuncio cristiano: quel Gesù che avete crocifisso, Dio l’ha risuscitato. E Paolo giunge a dire che se Cristo non è risorto la nostra fede è vana. Non parliamo di una rianimazione, né tantomeno di una reincarnazione, ma di una dimensione nuova del Cristo. Se Gesù non è risorto la nostra fede confida in un grande uomo che ha compiuto grandi gesti e che ha detto grandi parole. E basta. È un po’ una tendenza attuale quella di ridurre il cristianesimo a sentimento religioso.

Però, e questo vi stupirà, vedrete come la parte sulla risurrezione di Cristo, nei vangeli, sia molto scarna. In Marco è addirittura quasi assente. Perché? Il dato era l’origine del discorso, perciò veniva dato per conosciuto. Un po’ come se vi dicessi: “Ricordatevi di respirare.” Che idiozia! Poi, ad un certo punto, ci si è resi conto che qualcuno cominciava a interpretare la risurrezione come un avvenimento simbolico e si iniziò a insistere sulla reale risurrezione di Cristo (ad esempio Giovanni si dilunga su questa riflessione). Purtroppo i vangeli del Risorto si proclamano quasi tutti durante l’ottava di Pasqua e molti di noi non sanno neppure che esistono.
Siamo poco sensibili alla risurrezione di Cristo; la nostra spiritualità occidentale ha piuttosto riflettuto sull’umanità di Cristo (l’attenzione anche culturale al Natale) e sulla sua morte in croce. In Oriente, al contrario, i nostri fratelli ortodossi hanno sviluppato una forte sensibilità all’aspetto gioioso e risorgente della fede: le liturgie rigurgitano di ‘Alleluia’ … Vi dicevo: se Gesù non è risorto, è un fallito. Un grande della storia, se volete, come Gandhi, come Luther King, ma un uomo e basta. Ma se Gesù è davvero risorto, allora le sue parole assumono un significato del tutto nuovo, perché lui è il Kuryos, il Signore. Nel vangelo trovate spesse volte questa considerazione di rilettura degli avvenimenti alla luce pasquale. Gli apostoli stessi ci confidano di non avere capito le parole di Gesù fino al momento della sua risurrezione dai morti. La risurrezione di Cristo è fondante della nostra storia personale. Pensate che gli ortodossi, nel tempo pasquale, quando si incontrano per strada, si salutano con questo curioso dialogo: “Cristo è risorto!” e l’altro risponde: “Sì, è veramente risorto!” Mi viene in mente un simpatico aneddoto accaduto nel monastero di Tamié. Al mattino di Pasqua l’abate voleva svegliare tutti i fratelli bussando alla porta e dicendo: “Cristo è risorto!” Trovatosi davanti alla cella di un anziano un po’ duro d’orecchie, bussò alcune volte, senza ottenere risposta. Alla fine urlò più forte: “Cristo è risorto!” e da dentro l’anziano monaco: “Chi è risorto?”
Vorrei spendere due parole sull’ecumenismo. Sapete che per tristi ragioni storiche la chiesa cristiana è divisa in quattro confessioni: la nostra cattolica, l’ortodossa, la riformata (impropriamente detta ‘protestante’) e l’anglicana. L’unica chiesa si è spezzata in quattro tronconi: per questioni teologiche raffinate con gli orientali (nel 1054 grazie alla maldestra mediazione di un inviato papale che discusse di teologia a Costantinopoli senza neppure sapere il greco!), per questioni di riforma (poi manipolate dai principi tedeschi) per il monaco Lutero, per bieche questioni di interessi matrimoniali per quel folle Enrico VIII re d’Inghilterra. Ora la Chiesa vuole riunirsi, ma i solchi sono profondi e le differenze molte. Dobbiamo pregare a lungo per l’unione delle Chiese, avere a cuore l’unità. Ricordo un avvenimento storico: l’incontro tra il papa Paolo VI e Atenagora, Patriarca di Costantinopoli. La prima volta, dopo 900 anni, che i discendenti di Pietro e Andrea si trovavano insieme a Roma. Il primo gesto che entrambi fecero fu quello di strappare le reciproche scomuniche. Poi entrarono solennemente, fianco a fianco, in san Pietro. A un certo punto ( e bisogna conoscere le sottigliezze della diplomazia Vaticana per rendersi conto di ciò che successe!) Paolo VI, mosso dallo Spirito, fece un gesto eclatante, a dimostrare il desiderio di comunione. Alla fine del discorso di Atenagora, papa Paolo di buttò in ginocchio e baciò i piedi dell’imbarazzatissimo Patriarca. Che gesto! Che fuoco interiore!
Ma veniamo al racconto di Pasqua:

Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. (Mt 28,1)
Il primo giorno, il giorno della risurrezione: la domenica! Perciò ci ritroviamo alla domenica a celebrare la presenza del Risorto. È il giorno della nuova Creazione, il primo della settimana, e da lui prende il nome: “domenica” deriva da “Dominus”, Signore. Un giorno, durante la visita alle famiglie del mio quartiere, una signora, preoccupata di giustificarsi (per cosa?) mi dice: “Sa Padre, io verrei volentieri a Messa. Ma proprio di domenica la dovete fare?” La domenica è il giorno della festa: riappropiamocene! È il giorno del riposo: difendiamolo! E i nostri Vescovi, giustamente, combattono contro il lavoro festivo. L’economia ancora una volta passa davanti alla piena umanità. Sostituiamo il Dio di Gesù Cristo con Mammona, togliamo il ritmo settenario della Creazione, mischiamo il lavoro con la festa. Per cosa? Commercio … Ed è bello che i dipendenti della Standa di Aosta si siano rivolti al Vescovo per difendere il loro diritto a non lavorare di domenica. E il Vescovo di Aosta li ha pubblicamente difesi, a tutela della loro dignità di cristiani.

Ed ecco ci fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa; il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie tremarono tramortite” (Mt 28,2-3)
Non abbiamo nessun racconto della risurrezione, solo la constatazione della tomba vuota. Matteo, al solito, aggiunge qualche particolare apocalittico, per sottolineare che non si è trattato di un inganno umano. È un segno discreto, inquietante, nascosto. Niente prodigi: Dio non ci fa violenza con miracoli eclatanti. La pietra è ribaltata, Gesù è libero. Quale pietra dobbiamo far rotolare via dal nostro cuore perché Cristo sia presente in noi? Come mi piacerebbe essere almeno come i soldati di guardia al sepolcro … vi immaginate che noia? Che sgunfia? Vegliare che non rubino un cadavere! Eppure sono tramortiti dalla risurrezione, sono scossi nel profondo. Che il Signore scuota anche noi!

Ma l’angelo disse alle donne: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui, è risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti e ora vi precede in Galilea.” (Mt 28,4-7)
Non abbiate paura di rientrare! Di affrontare i vostri problemi! Di tornare al lavoro logorante! Di indagare sulla natura della vostra malattia! Non abbiate paura! Abbiamo una speranza, una luce, di che temere? Cercate un crocifisso? Siete ancora legati alla vostra sofferenza? Lui è già oltre. È risorto. È vivo. Non abbiate paura! Andiamo a vedere il luogo santo dove era deposto. La Palestina ci attende, con cuore stupito, pieno di fede, senza turbarci dalle piccinerie degli uomini, andiamo a vedere dove era deposto. Guardatela bene, quella lastra di pietra incastonata in una minuscola cappellina dentro la Costantiniana basilica della risurrezione. Guardatela bene: è nuda, vuota, non ha tenuto Dio, non ce l’ha fatta: la morte è sconfitta, distrutta, annichilita. Avete messo una pietra sopra la fede? Avete chiuso Dio in un cantuccio della vostra vita? Non c’è problema: la ribalterà, risorgerà. Benedetta quella tomba! Benedetto Giuseppe di Arimatea che si è visto restituire la tomba integra, nuova, pulita! Questa gioia è contagiosa, dilagante, missionaria: è giunta fino a noi. E noi la trasmetteremo agli altri? La missione è questione di cuore, non di mezzi, è il contagio di una gioia, di una malattia che si chiama “Cristo.” Dio non è morto, è vivo; non è un ricordo, un’emozione: è l’energia inarrestabile, la vita dilagante, dirompente che mi raggiunge!

Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai discepoli” (Mt 28,8)
Paura e gioia. Sempre, davanti a una fortissima emozione, sperimentiamo questi sentimenti tra loro contrastanti. Paura e gioia davanti a qualcosa che ci supera, davanti al mistero, come nel giorno delle proprie nozze, della propria ordinazione, della propria consacrazione: paura e gioia grande. Ma una paura che non è timore di un despota, ma paura di perdere un amore, una gioia, la fragilità nella quale siamo immersi ci fa paura perché percepiamo la nostra finitudine …

E Gesù, avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (…) Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.” (Mt 28,18-20)
Così conclude il suo vangelo il nostro amico Matteo. Gesù è con noi fino alla fine del mondo. Ci basta? Il Signore è con noi. Ci crediamo? Matteo conclude la sua avventura e lascia la provocazione a noi. A noi di riconoscere la presenza del Signore nella vita, fino alla fine.
Sì o Signore, noi crediamo che tu sei con noi, donaci la grazia di percepire, oggi e sempre, la tua presenza di amore, amen.

(da “Il Gesù di Luca e di Matteo”, appunti, 1997)