La Scelta

Arriviamo a un momento cruciale della nostra riflessione, il momento in cui chiederci in cosa vogliamo credere, cosa scegliere o ri-scegliere nella nostra vita. Oggi il Signore ci chiederà: “Tu chi dici che io sia?” In alcuni commentari ho trovato la riflessione sul fatto che l’episodio che stiamo per leggere rappresenta come una svolta nella storia di Gesù. Possiamo dividere la sua vita pubblica in due momenti: i primi momenti dell’annuncio, i primi miracoli, la diffusione della fama di Gesù che culmina con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. E’ questo il momento di “gloria” di Gesù e, nello stesso tempo, inizia l’inesorabile declino. La gente si aspettava un Messia potente, un annuncio pieno di colpi di scena. In realtà Gesù sovverte questa immagine. Ecco allora i primi sbandamenti, ben documentati dal finale del sesto capitolo del Vangelo di Giovanni. Gesù parla apertamente di un pane diverso, di un mangiare una carne e bere un sangue che lui darà. Un discorso incomprensibile e inaccettabile per chi lo ascolta. Così, inizia il lento declino della sua popolarità. A questo punto troviamo l’episodio della professione di fede di Pietro. Succede così anche a noi. Un momento di entusiasmo dietro a quell’animatore di gruppo, a quel prete, poi i tentennamenti, le fatiche, i “distinguo.” Cafarnao rappresenta una svolta nella concezione del ruolo di Gesù. E, davanti al fuoco, Gesù pone l’inquietante domanda che rivolge ad ogni uomo: “Hai visto chi sono, che cosa faccio, che cosa chiedo. Che ne pensi?” Fa sempre una certa impressione questo dono di libertà totale. Dio ci lascia liberi, si nasconde perché possiamo scegliere perch, lo sperimetiamo continuamente, l’amore lascia liberi di lasciarsi amare o di rifiutare. Non è così anche nei nostri rapporti? Possiamo desiderare la comunione con una persona, la possiamo amare alla follia, sapendo che il nostro amore sarebbe grande, epocale. Ma l’altro è libero di accettare o meno questo amore dato. Siamo tragicamente liberi di accettare tutto l’amore che Dio ci vuole dare. O di rifiutarlo.

Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarea di Filippi, chiese ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo.” Risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei Profeti.”(Mt 16,13)
Ecco il primo sondaggio della storia! Altro che Pilo, Fede o Mentana! Gesù vuole sapere cosa mormora la gente al suo proposito. Perché, già allora, non gli vanno certo a dire le cose in faccia, ovvio, ma gliene parlano dietro le spalle. Il risultato del sondaggio è curioso: alcuni lo identificano con Giovanni il Battista, che aveva profondamente influenzato il popolo, altri con Elia o uno dei profeti. Era stato un tempo esaltante quello dei profeti, ma era finito. Questi energici personaggi che avevano percorso la Palestina per tre secoli, dall’esilio al secondo secolo, avevano rappresentato una fiaccola nell’esperienza di Israele. E il popolo, al tempo di Gesù, si lamentava del fatto di non avere più dei profeti.
Il rischio è quello di fare della cultura su Gesù, di mettersi a disquisire su cosa dice la gente di lui. E ancora l’uomo fugge dalla presenza di Dio riducendolo a cultura. Non forse uno dei rischi che il nostro mondo oggi corre? Quello di ridurre l’avvenimento a discorso, l’incontro a cultura, di far svanire il cristianesimo in una bella indagine sociologica. Badate: cercare Cristo significa mettersi in discussione, lasciare che la sua parola ci interpelli in prima persona, far sì che davanti a lui ci mettiamo scoperti, disponibili, autentici, per sentirci rivolgere la domanda più inquietante della storia degli uomini.

“Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,14)
Già: chi è per me Gesù? Tolte le maschere, abbassate le difese, lasciati perdere i discorsi intellettuali: chi è per me Gesù? Gesù rivolge nella storia questa domanda inquietante a tutte le persone che incontra. Siamo chiamati a rispondere con verità, porci davanti a Gesù lasciando che sia lui a parlare al nostro cuore. Ricordate Gohete? Diceva: “Cristo sarà sempre un problema per l’uomo che pensa.” Chiediamoci oggi sul serio cosa rappresenta Cristo nella nostra vita, che ruolo ha, che posto ha.

Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.” E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,16-18
Voglio condividere una riflessione che ho sentito tempo fa da un confratello e che mi ha riempito il cuore di gioia. E’ una lettura profonda del dialogo che intercorre tra Pietro e Gesù. O, meglio tra Simone e Gesù. Ridotto all’osso potremmo dire che Simone dice a Gesù: “Tu sei il Cristo”, che significa: “Tu sei il Messia che aspettavamo”, una professione di fede bella e buona e decisamente ardita. Ardita, non mi stancherò di ripeterlo, perché Gesù non risponde ai canoni del Messia atteso: niente patriottismo, né regalità, né comportamenti aulici e strabilianti. Al contrario: un tono pacato, quasi dimesso, che da’ una interpretazione del tutto nuova del mistero di Dio. Pietro fa un salto di qualità determinante nella sua vita, un riconoscimento che gli cambierà la vita. Gesù risponde: “Tu sei Pietro”. Il cambio di nome Simone-Pietro è probabilmente avvenuto qui. Simone scopre il suo nuovo volto, una dimensione a lui sconosciuta, che lo porterà a garantire la saldezza della fede dei suoi fratelli. E’ stupendo questo dialogo, nella sua essenzialità: Pietro rivela che Gesù è il Cristo e Gesù rivela a Simone che lui è Pietro. Quando ci avviciniamo al mistero di Dio sveliamo il nostro volto; quando ci accostiamo alla Verità di Dio riceviamo in contraccambio la verità su noi stessi. Confessare l’identità di Cristo ci restituisce la nostra profonda identità. Che bello! Quanto siamo lontani (anni luce!) dalla visione di un Dio concorrente alla mia umanità. Perché, in fondo in fondo, alcuni sono persuasi che aprendosi alla misericordia di Dio quasi venga a mancare una parte della loro umanità. Niente di più fasullo: se il Dio in cui crediamo ci fa decrescere in umanità non è il Dio di Gesù Cristo. Quanti, avendo seguito con più decisione la presenza del Signore Gesù, giungono a dire che hanno imparato a diventare veramente uomini! Non abbiamo paura, quindi, a fidarci di questo Dio che davvero ci può rivelare a noi stessi, con semplicità ma con verità. Un’ultima annotazione su Pietro e sul suo ministero. Credo che dobbiamo avere il coraggio, parlando di Pietro, di mettere da parte tutto il contorno che, inesorabilmente, offusca il ruolo del suo ministero attuale. Che questo Papa mi stia più o meno simpatico, che condivida o meno il suo stile, poco importa. Purché assolva (e lo assolve!) il suo ministero. Purché, cioé, sia qui a garantirmi che la fede in cui credo, la fede che vi annuncio, è la fede che da sempre, dagli apostoli in poi, la Chiesa proclama e professa. Occorre ricuperare, cioé, la dimensione teologica del carisma di Pietro.

Attenti, però, Pietro dovrà vivere ciò che dice: la sua fede sarà masticata, come vedremo, passerà dalla bella affermazione alla pratica. La nostra fede non è solo una bella affermazione, ma deve diventare croce e vita vissuta. Ciò che Pietro dice dovrà imparare a viverlo. Non solo più “saperlo” ma viverlo. Ma questo lo vedremo all’indomani del rinnegamento.
Chi è per noi Gesù? Colui che ci rivela a noi stessi, il Cisto aspettato. Gesù è Dio, non un grande uomo, ma la presenza stessa di Dio. Davanti a tale meraviglia lasciamo che il nostro cuore si apra alla fede!

(da “Il Gesù di Luca e di Matteo”, appunti, 1997)