Capitolo Diciannove

Cara Juliet,

la tua obiezione è opportuna:”sono affascinata e turbata da ciò che imparo sul Dio di Gesù Cristo … ma se davvero è così come appare nei Vangeli, da dove viene il male? La confusione mi è cresciuta quando ho notato che nel Vangelo di Marco Gesù si arrabbia di fronte ai malati (o alla malattia?). Che dici?”. L’unica vera obiezione all’esistenza di un Dio buono è proprio la realtà della sofferenza, soprattutto degli innocenti. Come può essere buono un Dio che permette la morte degli innocenti? Non è forse un inganno? Esiste una pagina dello scrittore Lewis che nel “Diario di un dolore”, scritto sotto pseudonimo dopo la morte della moglie, giunge a dire che l’unica seria, vera domanda della storia è se Dio è buono o se è un Grande Sadico …

Sarò schietto, Giulia, quando parlo di queste cose provo un senso di acuta sofferenza e imbarazzo. Mi sento come qualcuno che entra in punta di piedi in un silenzioso tempio. Mi fermo, come alle soglie del Mistero. Mistero che, bada bene, non è un muro invalicabile di fronte al quale arrendersi ma, al contrario, è come un oceano sconfinato nel quale nuotiamo senza poterlo mai descrivere con precisione. Il mistero è spesso presente nella nostra vita: con l’esperienza dell’amore, dell’amiciza, della morte, del dolore, della gioia … tutte cose che viviamo senza poterne mai parlare esaustivamente, senza mai poterle veramente condividere.Ciò detto mi sembra di poter sottolineare il fatto che la stragrande maggioranza della sofferenza presente nel mondo è causata dall’uomo. Così le guerre, le morti per fame, le incomprensioni, le violenze …

Perché Dio non interviene? Mi viene da dirti: perché l’uomo non interviene? Perché scaricare su Dio una responsabilità che è solo nostra? Nel mondo sognato da Dio che è il Regno, non c’é spazio per l’incomprensione e la violenza. Ma, te ne dò atto, esiste una forma di sofferenza che non ha senso, che è incomprensibile. Che, allora? Non lo so, Giulia, non lo so. Eppure quando vedo questo Dio che muore in croce, che fa’ della sofferenza un linguaggio d’amore, resto attonito.

Potremmo riflettere freddamente sulla sofferenza e concludere che essa è insita nella caducità delle creature di cui facciamo parte. Ma: ci basta questa affermazione? A me no, per niente. Dio non è salito in cattedra, ma su una croce. Davanti alla ribellione del fratello maggiore di un ebreo di 17 anni che veniva impiccato ad Auschwitz che chiedeva al pastore luterano Bonheuffer: “se esiste, dimmi, prete, dov’è ora il tuo Dio?”. Questi rispose: “Non lo vedi? Lo stanno impiccando”. E’ un po’ come quando mi hai presentato, domenica scorsa, Marco, il tuo ragazzo. Mi darai atto che non era in splendida forma e che, anzi, mi è parso distante dal ragazzo gioviale di cui mi avevi parlato. Eppure mi scrivi chiedendomi scusa, dicendomi che probabilmente era in un momento lunatico, ma che, normalmente, lui non è così. Ti credo, Giulia, tu lo ami e lo conosci bene. Passami la battuta: ecco, Giulia, non so spiegarti il perché della sofferenza. Ma Dio non è così.

Davanti alla sofferenza possiamo cadere nella disperazione. O ai piedi della croce di Cristo, colmi di stupore. Come i due ladri, possiamo bestemmiare Dio dicendogli di schiodarci dalla croce oppure ammirare, stupiti, che questo Dio condivide la morte in croce con noi…

Ciao

don Paolo