Capitolo Quattro

Dear Juliet,

vedo che non demordi!
Ottimo segno, segno che ti fidi. Non di me, intendiamoci, ma della folla di testimoni che ci hanno preceduto e che ci hanno lasciato la testimonianza della loro fede.

E’ bello ciò che mi scrivi: “quindi all’origine della fede c’è l’umiltà”.
Sì: la consapevolezza della nostra finitudine, del nostro limite. Non siamo bastanti a noi stessi e per quanti sforzi di miglioramento del tenore di vita il nostro tempo si è dato, le domande profonde dimorano irrisolte nel nostro cuore.
Ti cito un detto che conosci a memoria, di Giovanni di Salisburgo: “Siamo nani sulle spalle dei giganti”.
Eppure spesso non ne teniamo conto. Credo davvero (l’ho provata) che la supponenza sia uno dei reali ostacoli alla ricerca sincera della Verità.

Ma torniamo finalmente alle tue molte domande (peraltro molto teoriche).
La prima è fondamentale; mi scrivi: “Diamo per scontato che Dio esista. Ma non può essere semplicemente il risultato di un ragionamento, il Motore Immobile come diceva Aristotele? Chi ci dice che sia persona, che sia veramente così come le religioni ne parlano?”.
Giustissimo: con la ragione possiamo arrivare a dire (altri lo hanno già fatto per noi …) che è ragionevole immaginare che esista un Principio, un’Energia Generante, chiamiamolo, per intenderci, Dio. Ma non è smisurato orgoglio credere che si debba occupare di noi?
Vedi: è proprio qui che inizia la fede, che muoviamo il primo passo sul sentiero verso la Vetta.

La storia delle Religioni, in tutto il suo sviluppo, appare proprio come uno svelamento, un avvicinamento, una manifestazione progressiva di Dio. Come se Dio avesse deciso di accompagnare la Storia degli uomini con la sua Storia, accompagnando la capacità di comprensione dell’uomo con lo svelamento di chi lui sia in profondità.
Ti do atto che le religioni rivelate sono un grosso nodo all’interno del cammino che l’uomo ha fatto per scoprire il volto di Dio.
Ci sono uomini che credono (tra questi gli ebrei, i cristiani e i musulmani) che Dio si sia in qualche modo raccontato, si sia svelato.
Per quanto riguarda i nostri fratelli maggiori ebrei e per noi cristiani, c’è la convinzione che questo racconto abbia seguito l’evoluzione di un popolo, la storia di Israele, e che abbia raggiunto il suo culmine in Gesù Cristo.

Vedi: di te conosco poco, mi resta il ricordo degli anni in cui sei stata mia alunna, dei discorsi fatti. Ho potuto farmi una certa idea di te, del tuo carattere, dei tuoi sogni.
Ma è stato decisivo, in questa nostra corrispondenza, il fatto che tu mi stia scrivendo, aprendomi il tuo cuore.
Sì: decisivo perché ti stai “rivelando”, ti stai “manifestando”.
Ora so cosa pensa Giulia, apprezzo alcuni aspetti del suo carattere, si stringe un legame di stima reciproca e di famigliarità.
Perché?
Semplicemente perché hai scelto di rivelarti, di esporti, di farti conoscere.

Non è così anche con Dio?
Ciò che di lui sappiamo attraverso la nostra intelligenza, la nostra razionalità e ciò che riusciamo a dedurre riflettendo senza pregiudizi sul Cosmo ci porta ad ammettere l’idea di un Principio, di un Motore. E basta.
Ma cosa ha vedere questo con la mia sofferenza?
Che mi importa di un Dio Perfetto e Indifferente quando perdo mio figlio?
Quando si palesa l’ingiustizia?
Cosa mi cambia nella vita se arrivo alla conclusione che un “qualcosa” esiste?
A me nulla, credi. Tutt’altro affare se questo Dio ha un volto, un nome, un progetto.

Perché Dio si è rivelato?
Per amore, per desiderio.
Strano Dio – penserai – che crea delle piccole creature e le ama.
Certo. Ma non siamo al posto di Dio ed è difficile penetrare il Mistero. Di nuovo, bisogna fidarsi.
Io credo fermamente che il dio sconosciuto (ricordi il discorso di san Paolo ad Atene?) ha un nome e un volto. Un nome e un volto resi noti dal Signore Gesù.
Ma di questo, stanne certa, ne riparleremo.

Ciao!

don Paolo